Se l’orso russo torna in Medio Oriente a minacciare Israele

La vera minaccia delle batterie antiaeree S-300 non sta nel fatto che sono potenti ma che sono russe. Oggi, come 45 anni fa, i russi in M.O. non sono la soluzione: sono il problema

Di Mor Altshuler, Judah Ari Gross

Mor Altshuler, autrice di questo articolo

Timeo Danaos et dona ferentes, “temo i greci anche quando recano doni”. Con queste parole, Laocoonte mise in guardia i troiani contro i piani dei greci. Ma i troiani ignorarono l’avvertimento e portarono il cavallo di legno, dono dei loro nemici, dentro la città. Quella notte, i soldati greci uscirono dal ventre del cavallo e fu la fine di Troia (così Virgilio nell’Eneide, Libro II). L’avvertimento di Laocoonte è diventato il simbolo della diffidenza con cui si deve avvicinare il proprio nemico quando ti ricopre di favori, e mi risuonava nella testa ogni volta che il primo ministro d’Israele veniva calorosamente accolto al Cremlino. Il presidente Vladimir Putin ha tributato abbondanti onori a Benjamin Netanyahu e il governo israeliano ha considerato come “missione compiuta” il coordinamento tra le Forze di Difesa israeliane e l’esercito russo. Ma la parvenza di armonia e interessi comuni è andata in frantumi quando un aereo da ricognizione russo è stato abbattuto dai siriani.

E’ giunto il momento di riesaminare le cose e rendersi conto che l’orso russo, 45 anni dopo essere stato cacciato dal Medio Oriente nella guerra di Yom Kippur, è tornato a minacciare Israele. Allora come oggi, la Russia non è un alleato di Israele e i russi non sono la soluzione: sono il problema. Poiché in Siria la fanno da padroni, gli eserciti iraniano, siriano e Hezbollah non possono rafforzarsi se non sotto l’egida dei russi. Pertanto il coordinamento sulla sicurezza, a difesa del quale il comandante dell’aviazione israeliana è stato precipitosamente spedito a Mosca, potrebbe rivelarsi una trappola: lo strumento per tenere buono Israele finché “l’asse del male” non avrà stabilito una presenza militare in Siria e in Libano tale da sbarrare completamente i cieli alle forze aeree israeliane.

Una situazione inquietante è anche quella che si sta creando nella Siria occidentale. I russi hanno stabilito una grande base militare e navale a Tartus, sul Mediterraneo. Nel giro di tre anni, la marina russa si è avvicinata agli impianti israeliani di gas naturale, e questo potrebbe trasformarsi in una concreta minaccia. Il controllo navale russo nel bacino del Mediterraneo orientale potrebbe minacciare non solo la produzione di gas naturale, ma anche la sua commercializzazione: il progetto per la costruzione di un gasdotto che porti il gas dalla costa israeliana, attraverso Cipro, verso Grecia e Italia potrebbe diventare ostaggio di Putin.

L’oleodotto T da Kirkuk a Tripoli del Libano, e il ramo H verso Haifa (allora nel Mandato Britannico sulla Palestina), in una mappa del 1937

L’asse russo-iraniano, la cui esistenza viene ufficialmente negata, si sta spostando anche verso est. I russi e gli iraniani hanno oggi il controllo di gran parte dell’itinerario del vecchio oleodotto T, che venne posato negli anni ’30 lungo centinaia di chilometri, da Kirkuk in Iraq fino al porto di Tripoli, in Libano, con un secondo ramo, l’oleodotto H, che raggiungeva anche Haifa. L’oleodotto ha smesso di funzionare da decenni, ma la strada che venne allora asfaltata viene oggi utilizzata dagli iraniani per portare armi e combattenti in Siria e in Libano. La domanda chiave è se Putin stia pianificando di utilizzare quella strada per portare il petrolio dall’Iran attraverso l’Iraq e la Siria fino al porto di Tartus per poi commercializzarlo in Europa in forma “anonima”. La contiguità territoriale di Russia e Iran sulla linea T potrebbe rivelarsi un modo per eludere l’embargo imposto dagli Stati Uniti al petrolio iraniano. La potenzialità destabilizzante del controllo russo e iraniano sulla linea T non costituisce una minaccia solo per Israele. Dovrebbe preoccupare anche gli Stati Uniti e tutti i loro alleati.

Israele, in quanto paese in prima linea, dovrebbe modificare la propria strategia: varare una politica di “rispetto e sospetto” rispetto alla Russia e cercare di svegliare l’amministrazione Trump dal suo torpore. La domanda a cui non ci si può sottrarre è: siamo sicuri che tutti i giocatori dalla nostra parte giocano con le mani pulite?

(Da: Ha’aretz, 25.9.18)

Zvi Magen

La crisi tra Israele e Russia, dovuta all’aereo militare russo abbattuto dai siriani la scorsa settimana, è “calcolata, artificiale e avulsa dalla realtà dei fatti, perché i russi vogliono qualcosa in cambio”. Lo dice Zvi Magen, ex ambasciatore d’Israele a Mosca, oggi ricercatore senior presso l’Institute for National Security Studies. Secondo Magen, in queste circostanze “non importa cosa fa Israele: dal momento in cui l’altra parte vuole una crisi, non c’è modo di evitarla. I mass-media russi hanno incolpato Israele sin dal primo giorno in maniera orchestrata e tempestiva, con ampio ricorso a stereotipi antisemiti, e non è stato casuale”. Non a caso infatti, sottolinea Magen, l’establishment della difesa russa non ha cambiato di una virgola la propria posizione senza tenere nella minima considerazione le conclusioni dell’inchiesta israeliana sull’incidente, che il comandante della forza aerea israeliana aveva personalmente portato a Mosca. Secondo Magen, in Russia convivono due linee contrastanti a proposito di Iran. “Una considera l’Iran una minaccia, ed è in qualche modo contenta che Israele faccia il lavoro per la Russia nel contenere l’Iran in Siria. L’establishment della difesa, invece, vede come d’abitudine negli iraniani una sorta di alleato contro Stati Uniti e Occidente, e quindi non gradisce le azioni d’Israele contro l’Iran in Siria. Inoltre, tre anni dopo essere entrata in Siria, la Russia vuole farla finita con la guerra interna siriana. In questo senso l’attività di Israele, che è destabilizzante per la Siria, costituisce un ostacolo”. Anche Magen ritiene che la crisi per l’aereo russo abbattuto sia stata gonfiata artificialmente da Mosca allo scopo di ottenere dei vantaggi strategici. (Da: Israel HaYom, 25.9.18)

Judah Ari Gross

Scrive Judah Ari Gross: L’annuncio che entro due settimane la Russia intende potenziare le difese antiaeree siriane fornendo a Damasco il temibile sistema S-300 segna il punto finora più basso nella crisi dei rapporti fra Israele e Mosca dopo l’abbattimento da parte della Siria dell’aereo da ricognizione russo. Oltre a fornire alla Siria l’S-300, il ministro della difesa russo Sergei Shoigu ha anche annunciato, lunedì scorso, che la Russia attuerà azioni di disturbo elettronico “della navigazione satellitare, dei radar di bordo e dei sistemi di comunicazione degli aerei da combattimento che attaccano obiettivi in Siria”. La maggiore minaccia, tuttavia, non è lo specifico ostacolo tattico che il sistema può porre all’aviazione israeliana, quanto il fatto che questo sviluppo potrebbe portare a un crollo verticale delle relazioni fra Israele e Russia. Non accadeva dagli anni ’60 e ’70 che Israele dovesse vedersela con una Russia antagonista, attivamente impegnata contro i vitali interessi israeliani. E’ vero che già oggi la Russia fornisce armi a molti nemici d’Israele, tra cui le batterie S-300 vendute all’arcinemico Iran, ma l’interpretazione corrente in Israele era che non si trattasse di ostilità specifica, ma solo di business.

La crisi attuale potrebbe cambiare questo stato di cose, a seconda di come verrà gestita da Israele, Russia e Stati Uniti. Sebbene le attuali prese di posizione della Russia verso Israele siano tra le più apertamente ostili dalla fine della Guerra Fredda, si tratta ancora di posizioni reversibili, almeno in una certa misura. E’ da più di cinque anni che i russi minacciano di vendere alla Siria il sistema antiaereo S-300, ma finora si erano sempre fermati per la pressante richiesta di Israele e talvolta degli Stati Unti.

Il sistema di difesa anti-aerea S-300, di produzione russa (250 km di gittata, può ingaggiare contemporaneamente fino a 24 aerei o 16 missili balistici)

Il sistema a lunga gittata S-300, con un raggio operativo di 250 chilometri, è una versione molto più avanzata rispetto al sistema S-200 finora impiegato dalla Siria. Mosca ha affermato che fornirà alla Siria da due a quattro batterie S-300, ma che è pronta a consegnarne di più se necessario. Secondo i mass-media russi, le batterie verranno installate sulla costa occidentale e nel sud-ovest della Siria, in prossimità dei confini con Israele e Giordania: le due aree da cui è più probabile che l’aviazione israeliana conduca i suoi attacchi contro le strutture militari e i depositi di armi di Iran e Hezbollah su suolo siriano. La Russia non ha ancora detto esattamente quale modello di S-300 intende vendere alla Siria: in effetti ce ne sono diversi tipi, ognuno con diverse capacità. Ma anche il modello di qualità inferiore ha un radar che, a seconda di dove verrebbe posizionato, potrebbe essere in grado di monitorare i voli nel nord di Israele e potenzialmente i voli civili da e per l’aeroporto internazionale Ben Gurion.

Per Israele, l’S-300 rappresenterebbe un ostacolo significativo, ma non insormontabile. Sebbene l’S-300, conosciuto dalla NATO come SA-10, sia molto più potente dell’attuale sistema S-200 (o SA-5) impiegato dalla Siria, l’aviazione israeliana si prepara da decenni a questa eventualità. Inoltre, Israele vanta una flotta crescente di caccia F-35, il miglior jet in circolazione a tecnologia stealth (non rilevabile dai radar). Questi aerei di quinta generazione sono già stati usati a livello operativo, stando a quanto dichiarato dall’aviazione israeliana all’inizio di quest’anno. L’aviazione israeliana è anche nota per le sue capacità in fatto di guerra elettronica. Già nella prima guerra in Libano del 1982 fece ricorso all’accecamento dei radar dell’antiaerea siriana, di produzione sovietica, riuscendo a distruggere 29 delle 30 batterie di cui disponeva Damasco. A quanto risulta, Israele ha usato questo tipo di tecnologia anche nel suo attacco del 2007 al reattore nucleare siriano di Deir Ezzor, bloccando le difese antiaeree siriane durante il raid.

Tuttavia il sistema S-300 fornito dalla Russia alla Siria non costituisce solo una sfida operativa, ma anche geopolitica. Nell’annunciarlo, il ministro della difesa russo Shoigu ha detto che squadre siriane si stanno addestrando per gestire il sistema S-300, ma non è risultato immediatamente chiaro se le batterie verrebbero manovrate anche da personale militare russo. Se lo fossero, ciò renderebbe estremamente più complicata l’eventuale decisione israeliana di distruggere le batterie siriane S-300 giacché significherebbe prendere di mira direttamente e consapevolmente delle forze russe.

Il proposito russo di ricorrere alla guerra elettronica contro “raid stranieri” costituirebbe per l’aviazione israeliana un ulteriore ostacolo da tenere in seria considerazione. Secondo i mass-media russi, questi sistemi creeranno una “cupola radio-elettronica” con un raggio di centinaia di chilometri attorno alla Siria occidentale e alla costa mediterranea che interesserebbe non solo gli aerei israeliani, ma anche le navi della marina americana e francese, nonché gli aerei civili in transito nella zona. Anche qui, le Forze di Difesa israeliane dispongono verosimilmente di una certa quantità di strumenti tecnologici e operativi in grado di far fronte alla sfida, ma i vertici dovrebbero soppesare il ricorso a tali misure rispetto al valore dell’obiettivo. All’inizio di quest’anno, quando la Russia stava di nuovo minacciando di armare la Siria con l’S-300, i rappresentanti israeliani hanno detto che l’aviazione è pronta a colpire qualsiasi sistema anti-aereo che faccia fuoco contro i suoi aerei indipendentemente da chi l’abbia fornito o da chi lo stia manovrando. “Una cosa deve essere chiara – disse in quell’occasione il ministro della difesa Avigdor Liberman – distruggeremo chiunque spari contro i nostri aerei, non importa se si tratta di un S-300 o di un S-700”.

Ma è chiaro che, per quanto l’aviazione israeliana sia in grado di eludere i radar russi e abbia tutto il diritto di distruggere una batteria S-300 fornita dai russi che sparasse contro i suoi aerei, tali azioni rischierebbero di allargare ulteriormente la crisi con Mosca e di spingere i due paesi sull’orlo di una totale rottura diplomatica.

(Da: Times of Israel, 25.9.18)