Se ne discute in Israele

Alcuni commenti dagli editoriali della stampa israeliana di domenica 2 agosto

Haaretz scrive: “La visita in Israele di importanti funzionari americani la settimana scorsa ha permesso ad entrambi i governi di migliorare la loro coordinazione ed i loro accordi riguardo all’Iran. L’amministrazione americana è stata costretta a riesaminare la sua politica in seguito al rifiuto dell’Iran dell’offerta di dialogo del presidente Barack Obama e dopo le elezioni presidenziali in Iran, dove le accuse di frode elettorale e la repressione dell’opposizione hanno danneggiato la legittimità del regime. Nei loro colloqui a Gerusalemme, i funzionari americani hanno proposto una via di mezzo volta ad impedire all’Iran di sviluppare armi nucleari e ad evitare una guerra nella regione. Le dichiarazioni pubbliche di Benjamin Netanyahu indicano che il messaggio americano è stato recepito a Gerusalemme. Il primo ministro ha addolcito la sua retorica sull’Iran. Questo è uno sviluppo positivo e sta a lui continuare a coordinarsi con Washington su questo problema”.

Yisrael Hayom dice che “Riad non è pronta a fare nemmeno il più piccolo gesto simbolico verso Israele”, e sostiene che è favorevole ad una pace israelo-palestinese e a fermare l’Iran solo se “il regno del deserto non deve pagare nessun prezzo”. L’autore osserva anche che una bozza di decisione per la prossima riunione del Consiglio di Fatah “si oppone al riconoscimento di Israele come stato ebraico”, commenta che “la Palestina sarà solo per i palestinesi ma il popolo ebraico non ha diritto all’autodeterminazione”, e osserva che “questi sono i palestinesi moderati”. Infine, il giornale ricorda che il presidente siriano Bashar Al-Assad ha dichiarato che “non ci saranno negoziati a meno che Israele non accetti prima di compiere un ritiro completo dalle alture del Golan” e aggiunge: “In questo caso, di che cosa tratterebbero i negoziati?”
L’editoriale ricorda ai suoi lettori che “questo è un sommario di dichiarazioni provenienti dal mondo arabo moderato, che dichiara il suo desiderio di pace” e asserisce che “questo attesta che l’idea americana fondamentale di cooperazione incondizionata con i palestinesi e i sauditi era sbagliata”. Il giornale ritiene che l’amministrazione Obama stia cominciando a capire tutto questo. L’autore ricorda che poco dopo la guerra dei sei giorni, Israele espresse la volontà di fare compromessi territoriali di grande portata, ricevendo in risposta solo un convegno della Lega Araba a Khartoum in cui si proclamava: “Nessuna pace, nessun riconoscimento e nessun negoziato”. Il giornale conclude: “Ci vuole molto ottimismo per sperare che il 2009 non sia il 1967″.

Yediot Aharonot esprime stupore che l’Autorità Palestinese guidata da Mahmoud Abbas sia stata in prima linea nella campagna internazionale per accusare gli ufficiali delle forze di difesa israeliane di crimini di guerra e/o di crimini contro l’umanità nella loro condotta nell’operazione Piombo Fuso, data la politica di Israele di sostenere sia il Fatah che la stessa Autorità Palestinese. L’autore suggerisce che, “quando il rapporto sarà pubblicato, ogni ufficiale delle forze di difesa saprà che la colpa principale sarà proprio di Mahmoud Abbas” e domanda: “C’è qualcuno che può spiegare la nostra politica alla luce di questa realtà?”

Ma’ariv dice che il delitto d’odio commesso ieri sera nell’edificio dell’associazione gay e lesbiche di Tel Aviv “costituisce un aumento dell’onda di violenza che sta travolgendo in questo periodo la società israeliana”. L’editoriale ritiene che “la società israeliana riposi su un delicato tessuto di varie popolazioni, ognuna con la propria cultura” e afferma che “solo il mantenimento di questo tessuto delicato permette l’esistenza della democrazia in Israele”. Il giornale chiede agli israeliani di unirsi contro “gli istigatori, i provocatori di odio e i fanatici che vogliono sbriciolare la democrazia israeliana e lasciare solo terra bruciata”.

Il Jerusalem Post scrive: “La sfacciata propensione della Knesset a risolvere i problemi politici trovando rimedi con rapide leggi valide solo per un dato caso è endemica. La lista di questo svergognato abuso delle prerogative legislative è lunga. Queste leggi sono apertamente antidemocratiche, perché solo figure pubbliche di considerevole influenza possono beneficiarne. La concentrazione chiaramente mirata ad interessi selezionati e acquisiti riesce solo a minare ulteriormente la fiducia del pubblico nei suoi legislatori. Non è troppo tardi perché Netanyahu metta a riposo la sua cinica ‘legge Mofaz’, il cui manifesto obiettivo è quello di danneggiare una fazione rivale”.