Se questo è pensare fuori dagli schemi

Costruire case per ebrei e arabi su un colle disabitato di Gerusalemme non mette affatto in discussione l’impegno per una soluzione “a due stati”

Di Elliott Abrams

Givat Hamatos

Una veduta di Givat Hamatos

Nel dicembre 2012, la Commissione Edilizia e Urbanistica del distretto di Gerusalemme annunciò un nuovo importante progetto di edilizia abitativa. In una zona di Gerusalemme al di là della ex linea armistiziale del periodo ’48-’67 chiamata Givat Hamatos sarebbero state costruite 2.600 unità abitative. Dettaglio non trascurabile, metà di queste abitazioni era destinata a cittadini ebrei e metà a cittadini arabi. Il progetto prevedeva anche una passeggiata panoramica, alberghi, bar, uffici e spazi commerciali.

L’altra settimana, poco prima della festività del capodanno ebraico, il vice sindaco di Gerusalemme ha firmato un’ordinanza definita “formale”: un passaggio tecnico dell’iter relativo all’autorizzazione ufficiali dei lavori.

 

Il cippo in ricordo dell'aereo abbattuto a Givat Hamatos

Il cippo in ricordo dell’aereo abbattuto a Givat Hamatos

In ebraico Givat Hamatos significa “Collina dell’aeroplano”, nome che deriva dal fatto che nel secondo giorno della guerra dei sei giorni del 1967 un bimotore israeliano venne abbattuto su quel colle dall’antiaerea delle truppe giordane che allora occupavano la zona: un terreno per lo più brullo e disabitato, utilizzato dai primi anni ‘90 per ospitare provvisoriamente famiglie povere di immigrati etiopi e russi. Givat Hamatos si trova nella parte sud di Gerusalemme. Indicarlo come parte di “Gerusalemme est” significa adottare una definizione politica, non geografica, che sancisce come definitiva e non negoziabile la linea di divisione della città imposta nel 1948 dall’illegale occupazione giordana.

Il passaggio tecnico è diventato un caso internazionale grazie alle furba manovra del gruppo israeliano “Shalom akhshav” (Pace adesso). La notizia dell’ordinanza del vice sindaco era già sulla stampa, ma aveva suscitato ben poca attenzione finché quelli di “Pace adesso” non le hanno dato grande pubblicità in studiata concomitanza con l’incontro della scorsa settimana a Washington tra il presidente americano Barack Obama e il primo ministro israeliano Benjamin Netanyahu. Il che ha indotto il presidente Obama a far dichiarare al suo portavoce: “Questo sviluppo non farà che suscitare la condanna da parte della comunità internazionale. Esso inoltre mette in discussione l’impegno di fondo d’Israele per una soluzione pacifica e negoziata con i palestinesi”.

Il sindaco di Gerusalemme Nir Barkat ha risposto: “Non congeleremo le attività edilizie nella capitale d’Israele a danno di nessuno. Forme di discriminazione basate su religione, razza o altro sono illegali non solo negli Stati Uniti, ma in qualunque paese civile. I 2.600 appartamenti che abbiamo approvato due anni fa per Givat Hamatos permetteranno a più giovani di ogni estrazione e credo di vivere a Gerusalemme e di costruire qui il loro futuro, cosa che andrà a tutto vantaggio della città. Non chiederemo scusa per questo”.

Precarie abitazioni temporanee per immigrati etiopi e russi a Givat Hamatos

Precarie abitazioni provvisorie per immigrati etiopi e russi a Givat Hamatos

La reazione del governo degli Stati Uniti appare assai curiosa alla luce del fatto che non si tratta di una vera notizia, del fatto che sia arabi che ebrei vivranno in queste abitazioni, e alla luce del discorso straordinariamente negativo tenuto l’altra settimana dal presidente dell’Autorità Palestinese Mahmoud Abbas (Abu Mazen) all’Assemblea Generale delle Nazioni Unite. Il Dipartimento di Stato aveva respinto quel discorso come “offensivo” e “profondamente deludente”. Si può supporre che Obama abbia ritenuto sin troppo dura tale reazione e che abbia voluto in qualche modo “bilanciarla” con le dure parole rivolte a Israele.

Ma se questo è stato una sorta di successo per “Pace adesso”, certamente non lo è stato per l’amministrazione Obama né per coloro che perseguono negoziati di pace. Costruire nuove abitazioni per arabi ed ebrei a Gerusalemme non mette affatto “in discussione l’impegno di fondo d’Israele per una soluzione pacifica e negoziata”, per usare la frase sciocca ed eccessiva dei portavoce della Casa Bianca e del Dipartimento di Stato.

Durante il loro incontro, Obama ha chiesto Netanyahu di “pensare fuori dagli schemi”. Ma pretendere che Israele blocchi la costruzione di alloggi nella sua capitale non è realistico. Quel che è peggio è che evidentemente, secondo Washington, costruire case per gli arabi va bene mentre costruire case per gli ebrei è da condannare. Individuando poi alcuni quartieri specifici (come Silwan, dove viene condannato il fatto che delle famiglie ebree si siano trasferite nelle case che hanno regolarmente acquistato) si vuole evidentemente sostenere che non bisogna permettere che certi quartieri diventino quartieri misti perché devono rimanere “senza abitanti ebrei”. Se questo è “pensare fuori dagli schemi”, meglio non farne nulla.

(Da: Israel HaYom, 3.10.14)