Se torna l’equivalenza immorale fra politiche israeliane e violazioni palestinesi

Porre fine all’istigazione e alle politiche che incentivano il terrorismo non sono “idee auspicabili”: sono precisi obblighi che l’Autorità Palestinese si era assunta firmando gli Accordi di Oslo

Di Stephen M. Flatow

Stephen M. Flatow, autore di questo articolo

Ci è voluta meno di una settimana perché l’amministrazione Biden tornasse alla politica di equivalenza morale, o quella che preferisco chiamare equivalenza immorale: la politica di considerare Israele e Autorità Palestinese, e le loro rispettive azioni, come se fossero tutte sullo stesso piano morale.

Lo scorso 26 gennaio il rappresentante ad interim del presidente Joe Biden alle Nazioni Unite, il vice ambasciatore Richard Mills, ha dichiarato che Washington sostiene la creazione di uno stato palestinese e che per promuovere tale obiettivo gli Stati Uniti “esortano” Israele e Autorità Palestinese “a evitare passi unilaterali che renderebbero più difficile la soluzione a due stati”. Questi passi, ha detto Mills, includono le “attività di insediamento”, le “demolizioni”, “l’istigazione alla violenza” e il “pagamento di indennizzi alle persone in carcere per atti di terrorismo”. Dunque, l’amministrazione Biden mette due azioni israeliane legali, pacifiche e consentite dagli Accordi di Oslo nella stessa categoria di due politiche dell’Autorità Palestinese che sono illegali, violente e proibite dagli Accordi di Oslo. Intollerabile.

Negli Accordi di Oslo non c’è nulla che impedisca la creazione di comunità ebraiche in Giudea e Samaria (Cisgiordania). Accade che sin dal 1992 (prima del processo di Oslo), la costante politica dei vari governi israeliani è stata quella di astenersi dall’autorizzare la creazione di nuove comunità. Ma è una questione di scelta, non un obbligo previsto dagli Accordi. E non c’è nulla, negli Accordi di Oslo, che proibisca di costruire all’interno delle comunità ebraiche già esistenti in quei territori, che è probabilmente ciò che l’amministrazione Biden intende con il termine “attività di insediamento”. Costruire appartamenti o scuole o cliniche o qualsiasi altra cosa, è un atto legale e pacifico. Non priva gli arabi delle loro case. Non interferisce con le possibilità di pace. Tutto quello che fa è permettere che in quelle comunità la vita continui normalmente. E non c’è nulla, negli Accordi di Oslo, che impedisca a Israele di continuare la sua consolidata politica, pienamente convalidata dalla Corte Suprema, di smantellare le case dei terroristi (la demolizione delle case viene considerata una delle poche misure in grado di esercitare un effetto deterrente su terroristi votati al suicidio ndr).

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Al contrario, ciò che Mills chiama “istigazione alla violenza” e “pagamento di indennizzi” a terroristi incarcerati, cioè incentivi economici al terrorismo, sono atti proibiti dalle numerose disposizioni antiterrorismo previste negli Accordi di Oslo, firmati dai palestinesi. Solo per citarne alcune, queste sono tratte dall’Accordo del settembre 1995 noto come Oslo Due.
L’articolo XV, comma 1, afferma che l’Autorità Palestinese deve “prevenire gli atti di terrorismo” e “adottare misure legali contro i trasgressori”. Ovviamente, istigare e incentivare atti di terrorismo vìola tale disposizione, così come vìola queste altre disposizioni analoghe:
Allegato 1, Articolo II, comma 1 (b): “la polizia palestinese agirà sistematicamente contro tutte le manifestazioni di violenza e terrorismo”.
Allegato 1, Articolo II, comma 2: l’Autorità Palestinese deve “rispondere immediatamente ed efficacemente al verificarsi o al previsto verificarsi di un atto di terrorismo, violenza o istigazione e deve prendere tutte le misure necessarie per prevenire tale evento”.
Allegato 1, Articolo II, comma 3 (b): l’Autorità Palestinese deve “prevenire attivamente l’istigazione alla violenza”.
Allegato 1, Articolo II, comma 1 (c): l’Autorità Palestinese deve “arrestare, indagare e perseguire gli autori e tutte le altre persone direttamente o indirettamente coinvolte in atti di terrorismo, violenza e istigazione”.
Ci sono altri articoli come questi, ma abbiamo reso l’idea.

Porre fine all’istigazione e alle politiche che incentivano il terrorismo non sono “belle idee” o “misure che rafforzerebbero la fiducia”. Sono precisi obblighi che l’Autorità Palestinese ha accettato e firmato. L’amministrazione Biden non può limitarsi ad auspicare che l’Autorità Palestinese rispetti tali obblighi. Deve esigere che lo facciano, perché altrimenti nessun trattato o accordo firmato dall’Autorità Palestinese avrà mai alcun valore.

E questo va al cuore del problema. Una politica realistica in Medio Oriente deve guardare a ciò che è accaduto tra il 1993 e il 2020 al fine di valutare le aspettative per gli anni a venire. Deve guardare cosa ha fatto l’Autorità Palestinese per capire cosa è probabile che faccia in futuro. Deve valutare se l’Autorità Palestinese ha rispettato gli obblighi che si era assunta con gli Accordi di Oslo, prima di chiedere a Israele di fare ulteriori concessioni in cambio di altre promesse. Questa sarebbe una politica ragionevole, e in questo momento non sembra che l’amministrazione Biden si muova in questa direzione.

(Da: jns.org, 3.2.21)