Se vincono le forze dell’oscurantismo

Quando i jihadisti acquistano forza e consensi, la risposta non deve essere il razzismo dell’estrema destra, ma nemmeno la resa

Di Ben-Dror Yemini

Ben-Dror Yemini, autore di questo articolo

Ben-Dror Yemini, autore di questo articolo

La Ville Lumière, la città delle luci e dei Lumi, ha subito un attacco terroristico doloroso. Non è stato solo un ennesimo attentato: è stato un attacco terrorista al cuore e ai valori del mondo libero. E’ stato un attentato alla libertà di parola e alla condizione delle donne.

Non è stato un attacco perpetrato per protestare contro qualche discriminazione. Non è stato un attacco in nome dei diritti dei musulmani. Non è stato un attacco contro la disoccupazione o l’alienazione. I jihadisti non stanno combattendo per un mondo migliore. Stanno combattendo contro chiunque e qualunque cosa sia diversa da loro. Stanno combattendo per istituire un’entità islamica cupa e oscurantista.

Il problema è che stanno vincendo. Quasi quindici anni fa il mondo subiva un’esperienza sconvolgente: i grandi attacchi terroristici negli Stati Uniti. Da allora ci sono stati altri attentati su larga scala, anche in Occidente, a Madrid come a Londra. E cosa si è visto, da allora? Si è visto molto.

L’estremismo jihadista è diventato più forte. L’islamizzazione è cresciuta di grado. Migliaia di persone hanno lasciato i paesi occidentali per diventare assassini al servizio della jihad. Nel solo 2013, circa 18mila persone sono state uccise in attacchi terroristici jihadisti: un aumento del 60% rispetto al 2012. Nel 2014, il numero delle vittime ha superato le 30.000. Mercoledì scorso, nello stesso momento in cui aveva luogo l’attentato a Parigi, si verificavano altri attacchi nello Yemen, in Nigeria, in Siria, in Libano, in Iraq.

Le vittime dell’attentato di venerdì al supermercato ebraico di Parigi

Il mondo libero non sa come affrontare il mostro e sta perdendo la battaglia. E il mostro diventa sempre molto più potente.

La maggior parte delle vittime sono musulmane, ma il mostro si annida anche tra le comunità musulmane in Occidente. Gli autori degli attacchi terroristici su larga scala in Occidente del recente passato erano giovani cresciuti con successo principalmente in Occidente, e non poveri diseredati e oppressi di questo mondo. Erano persone giovani indottrinate all’odio puro. L’unica differenza è che all’inizio si trattava di individui, oggi parliamo di centinaia di migliaia di persone.

No, il problema non è la maggioranza dei musulmani, certo che no. Ma non c’è bisogno di una maggioranza. Il problema è che dalle inchieste emerge solo un pezzetto della verità: il sostegno diretto al terrorismo non è molto diffuso. Il problema è che è molto più alto il sostegno all’applicazione della sharia nel mondo libero, anche con la forza. Qui non si parla più di una piccola percentuale. Ci sono grandi differenze da sondaggio a sondaggio, ma la media si aggira su una percentuale di diverse decine, ed più alta tra i giovani che tra gli adulti. Ciò significa che milioni di musulmani nel mondo libero, in particolare giovani, fondamentalmente condividono quello che è l’obiettivo primario della jihad, la creazione/imposizione di califfati islamici, anche se ne condannano i più efferati attentati.

In senso orario - Stephane 'Charb' Charbonnie, Georges Wolinski, Bernard Verlhac, Bernard Maris, Michel Renaud, Jean Cabut e Philippe Honoré: sette delle dodici vittime dell’attentato di giovedì alla redazione di Charlie Hebdo

Sette delle dodici vittime dell’attentato di mercoledì alla redazione di Charlie Hebdo. In senso orario: Stephane ‘Charb’ Charbonnie, Georges Wolinski, Bernard Verlhac, Bernard Maris, Michel Renaud, Jean Cabut e Philippe Honoré

La risposta del mondo libero è stata pavida. Una capitolazione, un’industria delle giustificazioni. I musulmani non hanno nessuna responsabilità per ciò che sta accadendo loro, o almeno così ama credere il mondo libero: non ne hanno gli stati musulmani e non ne hanno le comunità musulmane di Parigi, Londra o Stoccolma. Dopo tutto, sono dei poveretti che subiscono oppressione e discriminazione. Questo non è il “politicamente corretto”: questa è sindrome di Stoccolma, è giustificazione dell’aggressore. Interi dipartimenti di scienze umane e sociali nelle università del mondo libero sono completamente assuefatte alla scuola di pensiero post-coloniale che, in sostanza, punta il dito accusatore contro l’Occidente, gli Stati Uniti, il sionismo. A decine di migliaia sono scesi in strada, la scorsa estate, per sostenere Hamas, un’organizzazione jihadista i cui capi dichiarano apertamente che l’obiettivo non è solo la fine dell'”occupazione sionista”, ma la conquista islamica di tutto il mondo libero. E migliaia di accademici e giornalisti sono saliti sul carro. Credono alle loro stesse sciocchezze. Lo spirito di Edward Said, il padre di questa scuola di pensiero, regna su di loro proprio come il profeta Maometto regna sopra i jihadisti.

Quando dei musulmani rispettabili – e ce ne sono milioni – hanno cercato di mettere in guardia dal pericolo rappresentato dagli estremisti, sono stati zittiti. Quando la più alta autorità religiosa dell’islam sunnita, lo sceicco Yusuf al-Qaradawi, è stato invitato a Londra per una visita ufficiale, erano dei musulmani quelli che cercarono invano di avvertire il sindaco di allora, Ken Livingstone, che quell’uomo era pericoloso e incoraggiava l’estremismo. Al-Qaradawi fu ricevuto con tutti gli onori. La Francia, detto per inciso, non lo fece entrare. Al-Qaradawi avrebbe dovuto essere l’ospite d’onore in una grande convention musulmana in Europa. L’establishment musulmano francese, guidato da Dalil Boubakeur, considerava al-Qaradawi un grande leader spirituale. Oggi Boubakeur condanna l’attentato di Parigi. Naturale che lo condanna. Ma la condanna è inutile finché Boubakeur e altri come lui danno addosso a qualsiasi musulmano che osi esprimersi contro i finanziamenti dal Qatar e l’estremizzazione. E’ nel quadro della risposta pavida che si può facilmente supporre che Boubakeur continuerà ad essere un ospite d’onore su tutti i mass-media di Francia. In francese, condanna. In arabo, guadagna finanziamenti dal Qatar, il maggiore sponsor della diffusione del dogmatismo wahabita. Come si può sperare che vi sia una vera via d’uscita?

Michael B. , uno degli ostaggi, con il figlio al momento della liberazione del supermercato ebraico

L’attentato a Parigi rafforza, perlomeno a breve termine, i sentimenti anti-islamici già diffusi in Europa. Da mesi Marine Le Pen, leader del Front National, guida la corsa per la Presidenza francese. In un sondaggio dello scorso settembre otteneva il sostegno del 32% della popolazione, più di ogni altro candidato. La situazione nei Paesi Bassi è simile. In termini di consensi, il Partito per la libertà guidato da Geert Wilder è testa a testa con il partito al governo. E in Germania sono iniziate le manifestazioni organizzate da PEGIDA (Europei Patriottici contro l’Islamizzazione dell’Occidente) e resta da vedere se si tratta di proteste giustificate contro l’islamizzazione o manifestazioni razziste contro i musulmani.

La risposta giusta alla condiscendente pusillanimità del mondo libero non è quella dell’estrema destra. Il problema è che il mondo libero non sembra in grado di trovare la giusta misura di una battaglia che sia assai più decisa contro i jihadisti e i loro sostenitori, senza imbioccare la deriva del razzismo contro tutti i musulmani.

E così, quindici anni dopo i grandi attacchi terroristici negli Stati Uniti, la jihad è diventata molto più forte e l’estremizzazione si è intensificata e diffusa. L’attacco terroristico a Parigi non cambierà molto. Ma non bisogna disperare. Quello che occorre è un doloroso ritorno alla realtà. Se e quando avverrà, potremmo parlare di una vera possibilità di svolta.

(Da: YnetNews, 10.1.15)