Sempre colpa dell’occidente?

Il vecchio vizio di incolpare gli altri delle dittature arabe, e anche del loro fallimento.

Di Alexander Yakobson

image_3066Dopo la caduta del regime di Hosni Mubarak, è riemerso il dibattito su perché, innanzitutto, tante dittature si siano impadronite del mondo arabo. Mohanad Mustafa ha recentemente sostenuto su questo giornale che “la modernizzazione araba, guidata da giovani della classe media, è stata interrotta dall’esterno da potenze occidentali coloniali, e all’interno da forze arabe, il che aprì la strada all’ascesa di regimi autoritari per lo più filo-occidentali (Ha’aretz, 13.2.11). In altre parole, è stata colpa del colonialismo occidentale e dei suoi agenti locali. Ma le cose stanno veramente così?
La dittatura in Egitto venne istituita con la rivoluzione del 1952dei “Liberi ufficiali”, che portò al regime tirannico e anti-occidentale di Gamal Abdel Nasser: una dittatura che prendeva il posto di un regime monarchico liberale e filo-occidentale, che poteva essere corrotto e difettoso finché si vuole, ma era certamente più vicino a una democrazia di tutto ciò che lo avrebbe seguito. E la dittatura di Nasser fu molto più efferata dei regimi dei suoi due successori filo-occidentali: Anwar Sadat, che realizzò una liberalizzazione e lo spostamento pro-America, e Hosni Mubarak.
Ai tempi di Nasser non c’era nemmeno bisogno di inscenare elezioni, in Egitto, come nell’era di Mubarak. Il paese venne posto sotto il dominio di un partito unico e l’opposizione semplicemente bandita. A una recente manifestazione a Nazareth (città israeliana a maggioranza araba) appariva curioso, per non dire sorprendente, vedere degli attivisti del partito arabo-israeliano Balad esprimere sostegno alle rivendicazioni di libertà e democrazia del popolo egiziano issando immagini di Nasser: l’uomo che aveva spazzato via ogni libertà sostanziale esistita in Egitto fino alla sua presa del potere.
Molti attribuiscono a Nasser la liberazione dell’Egitto dal colonialismo britannico. Sebbene non si debba mai sminuire la lotta per l’indipendenza di nessuno, e se è pur vero che chiunque si identifichi con tale lotta tende a guadagnarsi naturalmente il favore popolare, la verità è che sin dai primi tempi del dominio di Nasser il leone britannico era già sulla via d’uscita. Nasser semplicemente gli pestò la coda.
Coloro che guidarono la lotta contro il colonialismo britannico quando era al culmine, quando non aveva alcuna intenzione di andarsene da nessuna parte – come i membri del partito Wafd – vennero messi fuori legge proprio da Nasser: zittiti e imprigionati insieme ai comunisti, ai Fratelli Musulmani e al resto dei suoi oppositori politici sia di destra che di sinistra.
Nasser aveva un vantaggio rispetto a coloro che oggi marciano per le strade issando la sua foto: evidentemente egli era convinto che il suo metodo tirannico fosse il modo migliore per modernizzare l’Egitto e il mondo arabo. I suoi sostenitori di oggi, invece, sanno bene che quel metodo portò a un tragico fallimento; e tuttavia sono ancora pronti a venerare un dittatore fallimentare purché sia abbastanza nazionalista, e a dare la colpa del suo fallimento – pensa un po’ – al sionismo e all’imperialismo.
Nasser non fu un leader personalmente corrotto, impresa non da poco. Ma scelse consapevolmente la tirannia, nonostante il fatto che avrebbe potuto facilmente essere eletto alla sua carica con libere elezioni, perlomeno all’inizio.
In ogni caso, sostenere che la dittatura in Egitto sia stata istituita sotto influenza occidentale, per servire gli interessi occidentali, è di fatto l’opposto della verità. Anche il regime del partito Baath in Siria non venne istituito dall’occidente, né serve gli interessi dell’occidente. Quando l’ex parlamentare arabo-israeliano di Balad, Azmi Bishara, tenne un panegirico funebre ai funerali di Hafez Assad (che, a differenza di Mubarak, riuscì a lasciare in eredità il potere al figlio Bashar), inondò di elogi un tiranno che era stato ben più feroce di Mubarak e anche di Nasser.
Com’è diverso, rispetto a tutto questo, come è rigenerante, coraggioso ed entusiasmante lo spirito dei giorni della rivoluzione di piazza Tahrir, lo spirito dell’assumersi responsabilità anziché eluderle, del prendere nelle mani il proprio destino, della vera fede nella libertà e nella democrazia. Se alla fine l’Egitto raggiungerà la democrazia nonostante i tanti ostacoli sulla sua strada, sarà innanzitutto grazie a questo nuovo spirito.

(Da: Ha’aretz, 17.2.11)

Nella foto in alto: Alex Yakobson, autore di questo articolo