Celebrando il primo gennaio il Fatah Day, il movimento capeggiato da Abu Mazen tiene ogni anno una parata di varie centinaia di miliziani presso il palazzo della Muqata, a Ramallah.
L'incontro del ministro della difesa Benny Gantz nella sua casa di Rosh Ha'ayin, martedì sera, con il presidente dell'Autorità Palestinese Abu Mazen non è che annunci la pace dietro l'angolo né cose come un massiccio ritiro israeliano da Giudea e Samaria.
Mentre decine di milioni di povere anime languono e muoiono sotto regimi feroci in luoghi come Yemen, Afghanistan, Siria, Sudan, Congo e Somalia, tanto per citarne alcuni, le Nazioni Unite hanno deciso giovedì scorso che c’è un solo e unico paese che merita d’essere oggetto di un'indagine “a tempo indeterminato”.
Mentre i cristiani subiscono persecuzioni e calano di numero in quasi tutto il Medio Oriente, in Israele vivono una realtà diversa con numeri in crescita e alta qualità della vita.
La comunità cristiana d'Israele è cresciuta dell'1,4% nel 2020 e conta oggi circa 182.000 persone, che in grande maggioranza si dichiarano soddisfatte della vita nel paese.
Non capita molto spesso l'opportunità di considerare il "problema palestinese" da una prospettiva diversa: c'è un problema, ed è anche un problema molto serio. Ma non ha nulla a che fare con Israele.
Mentre il numero di nuovi casi di coronavirus in Israele continua a salire, il numero di pazienti in condizioni gravi rimane al momento stabile senza determinare un sovraccarico dei servizi sanitari.
L'Assemblea Generale delle Nazioni Unite ha concluso la scorsa settimana le sue attività per il 2021 e anche quest'anno Israele è stato bersaglio di una cascata di condanne e risoluzioni ostili del tutto fuori misura e sproporzionata rispetto ad ogni altro paese.