Sharon era scettico sulla democratizzazione dell’Iraq, e lo disse a Bush

Lo ricordano oggi alcuni suoi stretti collaboratori

image_1546Alla vigilia dell’invasione dell’Iraq guidata dagli Stati Uniti, l’allora primo ministro israeliano Ariel Sharon confermò al presidente George W. Bush i pericoli posti dal Saddam Hussein, ma lo avvertì anche che il mondo arabo non sarebbe stato ricettivo rispetto a un processo di democratizzazione. È quanto ha detto giovedì scorso al Jerusalem Post l’ex ambasciatore di Israele a Washington Danny Ayalon.
Ayalon, che ha partecipato a numerosi incontri fra Sharon e Bush, dice che Stati Uniti e Israele intrattennero strette consultazioni durante il periodo di preparazione della guerra a Saddam, ma Sharon stava molto attento a non patrocinare nessun particolare intervento americano. Ayalon ricorda anzi d’aver fatto un po’ il “cane da guardia” per conto di Sharon, garantendo che i funzionari israeliani della Difesa e degli Esteri che arrivavano in quel periodo a Washington offrissero agli americani “vere analisi senza mai spingersi a raccomandare una linea di condotta politica”. Israele, spiega Ayalon, non diceva agli americani cosa fare o non fare perché Sharon era “abbastanza scaltro e prudente” da capire che questo avrebbe potuto portare in futuro all’accusa che Israele avesse spinto alla guerra gli Stati Uniti. Ciò non toglie, aggiunge l’ex ambasciatore, che Bush ascoltò le analisi di Sharon della situazione.
Secondo Sharon, Saddam rappresentava una seria minaccia. Opinione corroborata dalla condotta del dittatore iracheno durante la guerra Iran-Iraq (1980-88), dal suo lancio di 39 missili Scud su Israele e di più di 40 su Arabia Saudita, Kuwait e Bahrain durante la prima guerra del Golfo (1991), dal suo sostegno materiale e logistico ai terroristi e dalla sua consolidata tendenza a minacciare tutti i vicini. Inoltre, aggiunge Ayalon, la minaccia Saddam era suffragata dalle informazioni di intelligence che “allora tutti condividevamo” secondo cui Saddam era in possesso di armi di distruzioni di massa, “in particolare nell’ambito chimico”.
Un altro elemento che entrava in queste analisi era il fatto che, nonostante il bombardamento israeliano dell’impianto nucleare iracheno di Osirak del 1981, l’Iraq disponesse ancora dei progetti e del know-how tecnologico per produrre armi nucleari, e che per Baghdad “era solo questione di trovare il momento giusto per rimettere rapidamente in marcia il programma nucleare”.
Circa la democratizzazione del regime, Ayalon ricorda che Sharon disse a Bush che la cosa avrebbe richiesto tempi molto lunghi e “il presidente comprese che non si trattava di qualcosa che si potesse realizzare da un giorno all’altro”. “Basandosi sulla sua profonda conoscenza del mondo arabo – spiega l’ex ambasciatore – Sharon era molto scettico rispetto all’idea che le società arabe fossero pronte a recepire una cultura realmente democratica”.
Secondo Ra’anan Gissin, ex portavoce di Sharon, nei suoi colloqui con Bush “Sharon fece tesoro della sua esperienza in fatto di guerriglia “ e gli suggerì che fosse indispensabile garantire la stabilizzazione della situazione in Iraq prima di introdurre la democrazia. Gissin ricorda che Sharon avvertì Bush: qualunque cosa decidesse di fare, in ogni caso alla fine gli Stati Uniti avrebbero lasciato la regione, mentre Israele sarebbe rimasto e avrebbe dovuto fare i conti con le conseguenze dell’intervento o del non intervento americano.
Gissin ricorda un incontro durante il quale Sharon “tenne a Bush una lezione di contro-guerriglia” spiegandogli l’importanza di isolare l’Iraq, impedire l’afflusso di soldi e armi e mantenere gli insorti sotto pressione costante. Anche Gissin conferma che Sharon fu decisissimo nell’impedire che qualunque esponente ufficiale d’Israele parlasse pubblicamente di cosa gli Stati Uniti dovessero fare o non fare. Tuttavia, nei colloqui privati, Sharon avvertì più volte di “non mettere il carro davanti ai buoi, ribadendo che non può esservi democratizzazione senza stabilità”. Secondo Gissin, Sharon avvertì Bush che un processo di democratizzazione avrebbe aperto un solco fra gli Stati Uniti e i paesi arabi suoi alleati – come Egitto, Arabia Saudita, Giordania e paesi del Golfo Persico – tutti molto preoccupati per ciò che questa democratizzazione potrebbe significare per i loro regimi.

(Da: Jerusalem Post, 12.01.07)