Si vis pacem…

Il processo di pace in Medio Oriente è iniziato con la vittoria israeliana nella guerra di Yom Kippur.

Di Moshe Arens

image_3254Il processo di pace in Medio Oriente è iniziato il 24 ottobre 1973, diciotto giorno dopo che Israele era stato preso di sorpresa dagli attacchi egiziano e siriano a sud e a nord: attacchi che avevano permesso ad egiziani e siriani di realizzare sostanziali avanzate durante le prime 48 ore di combattimento. Ma il 24 ottobre, quando i combattimenti cessarono, le Forze di Difesa israeliane si erano spinte fino a 101 chilometri dal Cairo e a 40 chilometri da Damasco, mentre l’intera Terza Armata egiziana era completamente accerchiata nel Sinai, a est del Canale di Suez.
Fu una guerra terribile, per Israele. Ma fu anche una grande vittoria. Quello che le vittorie delle forze israeliane nel 1949, nel 1956 e di nuovo nel 1967 non erano riuscite a conseguire, venne raggiunto nella guerra dello Yom Kippur. Solo allora l’Egitto divenne impaziente di negoziare un trattato di pace con Israele. Al di là della retorica, la leadership egiziana aveva capito che gli eserciti arabi non avevano alcuna possibilità di sconfiggere Israele sui campi di battaglia e che era giunta l’ora di trattare la pace. Il processo di pace era iniziato, anche se ci vollero altri quattro anni perché iniziassero i negoziati, e altri due anni per arrivare alla firma del trattato di pace fra Israele ed Egitto: il processo di pace in Medio Oriente si muove con una lentezza esasperante.
E non fu certo una pace calorosa. La popolazione egiziana non era pronta a tanto, e non lo è nemmeno adesso. Ma era ormai pronta a rassegnarsi alla presenza di uno stato ebraico in Medio Oriente. Anche oggi, dopo l’ambasciata israeliana al Cairo è stata aggredita da folle scatenate e l’ambasciatore israeliano ha dovuto temporaneamente lasciare l’Egitto, il ricordo della vittoria israeliana del 1973, a dispetto della retorica ufficiale, è ancora ben vivo nella memoria collettiva egiziana, e il trattato di pace firmato da Menachem Begin e Anwar Sadat nel 1979 resta in vigore.
Circa cinquant’anni prima della guerra del Kippur, e più di vent’anni prima della nascita dello stato d’Israele, Ze’ev Jabotinsky aveva pubblicato un articolo, oggi famoso, dal titolo: “Il muro di ferro”. In esso spiegava che non v’era ragione d’aspettarsi che gli arabi accogliessero a braccia aperte l’impresa sionista, e che non c’era alcuna chance di modificare il loro rifiuto della nascita di uno stato ebraico in Terra d’Israele/Palestina convincendoli dei vantaggi economici che quell’impresa portava anche a loro. La loro ostilità, spiegava Jabotinsky, era la cosa più naturale, mentre al contrario una loro accettazione pacifica dell’impresa sionista sarebbe stata in contrasto con tutti I precedenti storici. La condizione fondamentale per la creazione e la sicurezza di uno stato ebraico, concludeva, era la costruzione di un “muro di ferro” inespugnabile che proteggesse l’impresa sionista e, col tempo, convincesse gli arabi che non avevano alcuna possibilità di violare tale barriera e di sbarazzarsi della presenza degli ebrei. E concludeva, con parole che a tanti anni di distanza suonano quasi profetiche: “Finché gli arabi avranno la sensazione di avere anche la minima possibilità di sbarazzarsi di noi, si rifiuteranno di abbandonare tale speranza in cambio di belle parole o di pane e burro, perché essi non sono plebaglia ma un popolo vivo. E un popolo vivo cederà su materie di natura così essenziale solo quando non vedrà più nessuna possibilità di spazzarci via, perché vedrà che non c’è alcuna possibilità di fare breccia nel muro di ferro. Fino ad allora non si libereranno dei loro capi estremisti, la cui parola d’ordine è “mai!”. Fino ad allora la leadership araba non passerà a gruppi più moderati capaci di rivolgersi a noi con la proposta di accettare reciproche concessioni”.
Tante cose sono cambiate da quando vennero scritte queste parole. Un “muro di ferro” è stato eretto e rafforzato, nel corso dei decenni. Trattati di pace sono stati firmati con Egitto e Giordania. Intanto sono apparsi sulla scena terrorismo, razzi e minaccia nucleare iraniana, e nel cuore di tanti arabi ancora alligna la speranza di poter gettare a mare gli ebrei.
Coloro che oggi chiedono concessioni unilaterali e tagli al bilancio della difesa dovrebbero rileggere l’articolo di Jabotinsky. È il “muro di ferro” che apre la strada alla pace in Medio Oriente.

(Da: Ha’aretz, 11.10.11)