Sicurezza e conflitto non sono più i temi principali su cui si divide l’elettorato in Israele

Gli israeliani tendono a votare sempre più per le personalità che incarnano la loro identità e ideologia indipendentemente da promesse e programmi elettorali

Si preparano le schede per le elezioni del primo novembre

Martedì prossimo gli israeliani si recheranno alle urne per la quinta volta dall’aprile 2019, nel tentativo di dare al paese un governo duraturo dopo anni di instabilità politica. Va tenuto presente, tuttavia, che l’atteggiamento degli elettori israeliani è cambiato e sono cambiate le priorità in base alle quali sceglievano chi votare tempo fa.

Nel sistema parlamentare israeliano tutti i partiti che superano la soglia elettorale del 3,25% dei voti validi ottengono dei seggi la Knesset, il parlamento monocamerale formato da 120 parlamentari, in proporzione alla loro percentuale di voti sul totale. Dal momento che nessuna formazione ottiene mai da sola la maggioranza assoluta di 61 seggi, alle elezioni fa seguito invariabilmente un laborioso processo di costruzione di coalizioni in cui diversi partiti si alleano fra loro per totalizzare almeno 61 seggi e formare il governo. Nelle ultime quattro tornate elettorali non è stato possibile formare una coalizione o si è formata una coalizione molto risicata, caratterizzata da dissensi interni e dunque di breve durata.

Spiega Liron Lavi, ricercatrice presso il Dipartimento di Studi Politici dell’Università Bar-Ilan, che per molti anni, e certamente a partire dal 1967, tra le principali preoccupazioni degli israeliani nel valutare le loro scelte elettorali figurava la sicurezza in generale e il conflitto israelo-arabo-palestinese in particolare. Ma nell’attuale ciclo di elezioni ravvicinate, dice Lavi, “questo problema non è più quello che preoccupa maggiormente gli israeliani”.

Liron Lavi, Università Bar-Ilan

Oggi gli elettori israeliani sono più interessati ai problemi giudiziari e al futuro politico dell’ex primo ministro Binyamin Netanyahu. Sul piano delle issue, continua Lavi, ciò che interessa alla maggior parte degli elettori è l’identità ebraica del paese e le sue credenziali democratiche.

Gideon Rahat, ricercatore di scienze politiche all’Università di Gerusalemme e presso l’Israel Democracy Institute, afferma che anche il modo stesso di intendere il tema della sicurezza è cambiato. Rahat si dice convinto che i cittadini israeliani optano innanzitutto per una persona o un’ideologia, e a seguire ritengono che quella scelta sia anche quella che potrà garantire loro maggior sicurezza. In questo senso, il significato stesso del concetto di sicurezza è visto come un prodotto della propria specifica identità e visione del mondo. In passato, spiega Rahat, “la gente vedeva il capo di stato maggiore come un simbolo della sicurezza. Oggi invece la sicurezza può essere personificata anche da candidati che non hanno nemmeno prestato servizio militare come Itamar Ben-Gvir e Bezalel Smotrich” (più esattamente, Smotrich ha fatto il militare ma non in una posizione di rilievo ndr). Dall’altra parte, l’attuale premier Yair Lapid ha prestato servizio prevalentemente come corrispondente per Bamahane, la rivista dell’esercito.

Il partito di Unità Nazionale (alleanza fra Blu-Bianco di Benny Gantz e Nuova Speranza di Gideon Sa’ar) può vantare fra i suoi candidati ben due ex capi di stato maggiore delle Forze di Difesa israeliane: lo stesso Gantz e Gadi Eizenkot, terzo in lista, e dunque può presentarsi con una forte connotazione orientata alla sicurezza. “In effetti – dice Rahat – possono affermare di rappresentare il meglio per la sicurezza”. Ma ribadisce che “l’interpretazione di cosa significa sicurezza è cambiata”.

Gideon Rahat, Università di Gerusalemme e Israel Democracy Institute

Concorda Lavi, secondo la quale il fatto che gli elettori israeliani percepiscano il partito di Unità Nazionale come un simbolo di sicurezza non comporta per quella formazione i vantaggi che avrebbe avuto un tempo “perché rappresentano o simboleggiano una questione che non è più dominante nella decisione degli israeliani su come votare. E questo è parte del motivo per cui non li vediamo crescere nei sondaggi”.

È difficile individuare esattamente quando è avvenuto questo cambiamento nell’approccio dell’elettorato. Un ruolo lo gioca sicuramente la diffusa percezione che le scelte di Israele in tema di sicurezza siano per lo più obbligate e che siano molto scarsi i margini di manovra diplomatica, dopo tutti i tentativi fatti invano in un conflitto che appare sostanzialmente bloccato. Ma in particolare, osserva Lavi, le elezioni dell’aprile 2019, quelle che hanno dato inizio a questo ciclo di elezioni a raffica, “segnano sicuramente il momento in cui abbiamo visto la questione dell’identità di Israele diventare sempre più importante”. La ricercatrice cita i sondaggi in cui viene chiesto agli elettori israeliani su quale tema principale pensano che ruotino le elezioni. Netanyahu figura sempre come una questione importante. Ma in quell’aprile, dice Lavi, “vedevamo che vari temi come l’economia, il conflitto israelo-palestinese e il futuro della democrazia israeliana figuravano tutti come importanti nella stessa misura. Successivamente, nel settembre 2019, nel marzo 2020 e nel marzo 2021, abbiamo visto gli altri temi perdere importanza mentre il tema del futuro della democrazia resta molto in alto nella scala di priorità”.

Rahat aggiunge che il comportamento degli elettori ha molto a che fare con l’identità, mentre quando si tratta di economia le differenze tra i partiti non sembrano così significative. Ma in ultima analisi, aggiunge Rahat, “le elezioni in Israele sono ancora una volta e di nuovo un referendum su Netanyahu”, attorno alla cui figura ruotano appunto i temi della democrazia e dell’identità. Le elezioni israeliane, conclude Rahat, sono oggi altamente personalizzate: “Le personalità incarnano l’ideologia, la visione del mondo, il modo in cui le persone percepiscono se stesse e la democrazia”.

(Da: YnetNews, israele.net, 25.10.22)