Siria grande protettrice dei palestinesi?

Damasco gioca le sue carte sullo scacchiere palestinese

Da un articolo di Zvi Bar'el

image_2175“Quando veniamo qui in Siria, veniamo nella nostra seconda patria”. Con queste parole il presidente dell’Autorità Palestinese Mahmoud Abbas (Abu Mazen) si è rivolto al presidente siriano Bashar Assad quando i due si sono incontrati a Damasco, domenica scorsa. Questo clima da “ritorno a casa” è stato favorito dallo stesso Assad, che ultimamente ha molto ampliato il suo coinvolgimento sull’arena palestinese. A spese dell’Egitto.
Durante la sua visita di due giorni a Damasco, Abu Mazen dovrebbe incontrare diversi leader di fazioni palestinesi, con l’unica possibile eccezione del capo del politburo di Hamas Khaled Meshaal. Tali incontri sembrano far parte di un più ampio tentativo siriano per avvicinare Hamas e Fatah a una riconciliazione nazionale. Giovedì scorso Assad ha incontrato Meshaal e, dopo la visita di Abu Mazen nella capitale siriana, è previsto l’avvio di un dialogo fra Hamas e una delegazione di Fatah.
Assad sta contendendo all’Egitto un’arena che fino a poco tempo fa sembrava monopolio del Cairo. Ma gli egiziani per ora sono restii dall’impegnarsi più di tanto. Nonostante sostengano gli sforzi di riconciliazione, hanno evitato di invitare al Cairo fazioni palestinesi rivali per un incontro congiunto. A quanto pare l’Egitto è molto preoccupato che un tale incontro, senza la dovuta preparazione, possa sortire in un fallimento e che il danno conseguente possa essere molto difficile da riparare. La Siria, per contro, ritiene evidentemente di avere maggiore influenza su Hamas e Jihad Islamica, ed anche che il suo “dialogo” politico con Israele la escluda dal gruppo di coloro che vanno boicottati, permettendo ad Abu Mazen di far visita a Damasco senza suscitare le ire di Washington.
Assad, che la prossima settimana parteciperà alla conferenza Euro-Mediterranea di Parigi, vorrebbe presentarsi con due successi in tasca. Il primo sarebbe la nascita del nuovo governo libanese; il secondo, l’avvio di un processo di riconciliazione nazionale fra palestinesi. Con questi due risultati, in aggiunta all’inizio di colloqui (indiretti) con Israele, la Siria spera di aprirsi la strada per l’uscita dall’”asse del male” americano, mettendo in risalto nel contempo agli occhi dei paesi arabi il suo status di attore centrale, capace di assolvere un ruolo che paesi come Egitto e Arabia Saudita hanno finora trovato molta difficoltà a svolgere.
La riconciliazione fra palestinesi è diventata un elemento centrale nel dialogo mediatico fra Hamas e Fatah. Ai primi di giugno Abu Mazen ha annunciato una sua iniziativa per promuovere tale processo, che potrebbe portare a elezioni presidenziali e parlamentari palestinesi. La condizione di base che pone il leader palestinese è che nella striscia di Gaza venga ripristinata la situazione che esisteva prima della presa del potere da parte di Hamas nel giugno 2007.
Dal canto suo Hamas, che non si oppone in linea di principio a questa prospettiva, chiede che l’intesa si applichi a una cornice più ampia: vuole un accordo di riconciliazione che comprenda il “riconoscimento dei processi democratici”, vale a dire che Abu Mazen riconosca i risultati delle elezioni del gennaio 2006 in cui Hamas aveva ottenuto una netta maggioranza. Inoltre l’accordo dovrebbe comprendere la creazione di un governo ad interim di unità nazionale che prepari il terreno per libere elezioni all’interno dell’OLP alle quali prenderebbero parte tutte le fazioni, e per la prima volta anche Hamas: nel presupposto che Hamas conseguirebbe la maggioranza e potrebbe promuovere una vera e propria rivoluzione ideologica e strutturale della storia organizzazione-ombrello palestinese. L’accordo dovrebbe anche sollecitare l’unificazione dei vari apparati di sicurezza palestinesi, spartendo il controllo su di esse in base alle dimensioni relative dei gruppi politici coinvolti, nonché porre fine alla guerra mediatica che Fatah conduce contro Hamas.
Se dovesse concretizzarsi questo tipo di riconciliazione portato avanti dalla Siria e nascere un governo ad interim unitario, Israele si troverebbe di fronte al vecchio dilemma: riconoscere tale governo palestinese e istituire una qualche collaborazione operativa con esso, oppure boicottarlo per la presenza al suo interno di estremisti e jihadisti e mettere così in stallo i colloqui con Abu Mazen?

(Da: Ha’aretz, 7.07.08)