Siria: un regime comunque sbagliato

Un governo che usa il terrorismo per attuare la propria politica deve essere chiamato a renderne conto.

image_944Può darsi che le conclusioni della commissione d’inchiesta internazionale sull’assassinio dell’ex primo ministro libanese Rafik Hariri non arrivino a una piena incriminazione. Esse tuttavia non lasciano ombra di dubbio: il coinvolgimento della Siria in Libano, ad ogni livello della vita del paese, ha trasformato il Libano in un sobborgo di Damasco.
Mentre la commissione d’inchiesta cercherà di portare avanti le indagini sia a Damasco che in Libano allo scopo di procurarsi tutte le prove possibili su cui basare un’eventuale incriminazione, nei prossimi giorni è annunciata la pubblicazione di un secondo rapporto. Si tratta del rapporto dell’inviato dell’Onu Terje Roed-Larsen, che ha il compito di valutare il grado di ottemperanza della Siria della risoluzione 1559 del Consiglio di Sicurezza: la risoluzione che dal settembre 2004 esige dalla Siria che si ritiri completamente dal Libano, che disarmi le milizie libanesi (in particolare Hezbollah e gruppi palestinesi), e che permetta all’esercito libanese di schierarsi sul proprio fino al confine con Israele.
Oggi la Siria si trova in difficoltà, e può solo biasimare se stessa. In un periodo in cui gran parte dei paesi del Medio Oriente ha avviato esame di coscienza, in cui parecchi regimi fanno lo sforzo di esibire cambiamenti in senso democratico, la Siria non ha ancora recepito questo nuovo spirito. Stando al quadro che emerge dalla commissione d’inchiesta, sembra proprio che nei corridoi del potere siriano vi siano ancora potenti elementi, compreso a quanto pare lo stesso Assad, convinti che la Siria abbia il diritto di fare tutto quello che vuole in Libano, di avvilire l’aspirazione alle riforme dei suoi cittadini, di ignorare completamente il nuovo ordine mondiale che in lotta contro il terrorismo.
Le pressioni internazionali attualmente esercitate su Damasco unite all’intenzione di imporle sanzioni economiche e d’altro tipo avrebbero costretto qualunque paese raziocinante a riconsiderare la propria politica, e le presunzioni di base riguardo al proprio status nella regione. Ciò vale in modo particolare per la politica della Siria in Libano, un paese che continua a invocare la piena indipendenza.
Il Libano, che ha fatto più di qualunque altro soggetto nella regione, compresi gli Stati Uniti e Lega Araba, per liberarsi dalla presa siriana, desidera anche affrancarsi dalla dottrina dei “binari congiunti” imposta dalla Siria. Si tratta della dottrina che ha impedito al Libano di condurre negoziati di pace con Israele per proprio conto. Ecco perché l’indipendenza politica del Libano è anche un importante interesse di Israele: un elemento che, quand’anche Israele non riuscisse a persuadere adesso Beirut a progredire verso negoziati di pace, per lo meno garantirebbe che la Siria non si possa frapporre come un ostacolo insormontabile sulla via della pace.
Può darsi che le conclusioni delle due commissioni d’indagine finiscano con l’attestare semplicemente un altro tentativo di adattare la politica siriana ai desideri degli Stati Uniti, specie riguardo alla cooperazione della Siria sul fronte iracheno. Ciò, comunque, non basta per confutare il presupposto di fondo: un regine che utilizza mezzi terroristici per attuare la propria politica deve essere chiamato a renderne conto, ed eventualmente anche punito.

(Da: Ha’aretz, 24.10.05)

Nella foto in alto: Preghiere sulla tomba del primo ministro libanese Rafik Hariri, assassinato a Beirut (Libano).