Solo quando è coinvolto Israele

Riflessioni dell'ex ministro Ben-Ami sul curioso comportamento della cosiddetta “opinione internazionale”

image_2373Quando praticamente ogni nazione – dalla Repubblica Ceca alla Turchia alla Francia – chiede di essere coinvolta con Israele e con le questioni di questa regione, sorge la domanda: come mai il mondo si interessa così tanto a Israele? La locuzione “opinione internazionale” rimbalza tra politici, stampa e commentatori, ma il cittadino medio norvegese o canadese sono davvero tanto interessati agli eventi che hanno luogo a Gaza o a Sderot?
“Forse non interessano il singolo cittadino, ma sicuramente interessano le elite di quelle nazioni, gli intellettuali metropolitani: la stampa, gli autori, gli accademici”, risponde il professor Shlomo Ben-Ami, già ministro degli esteri nel governo Barak (200-2001). “Il che non si deve tanto all’orrore che una persona normale prova di fronte alle scene di morte in televisione – spiega Ben-Ami – quanto al fatto che c’è Israele coinvolto nella faccenda. Ho chiesto molte volte ai palestinesi se pensano davvero che il mondo sia tanto interessato alla loro sorte. Dopotutto, quando degli arabi uccidono altri arabi, fossero anche palestinesi, la cosa non suscita nemmeno una minima parte di queste proteste mondiali. Se fossero gli egiziani o i giordani ad attaccarli, forse che si vedrebbe una tale levata di scudi?”.
In effetti, senza risalire ai tempi del “settembre nero” 1970 in Giordania, anche in anni recentissimi l’attacco dell’esercito libanese al campo palestinese di Nahr al Bared nel Libano settentrionale (estate 2007, più di 400 morti), o il massacro di palestinesi ad opera di altri palestinesi durante il sanguinoso golpe di Hamas nella stessa striscia di Gaza nel giugno 2007 sono stati a mala pena notati dall’opinione pubblica mondiale.
“Solo quando sono coinvolti degli ebrei – continua Ben-Ami – si scatena una grande passione pubblica, e questo perché evidentemente esiste una radicata sindrome globale riguardo agli ebrei”. Secondo l’ex ministro del processo di pace, non si tratta di antisemitismo in se stesso, quanto piuttosto di un fenomeno legato alla relazione pluri-secolare fra ebrei e resto del mondo. “Quando il mondo vede che siamo implicati in un conflitto che (come tutti i conflitti) coinvolge anche degli innocenti, si scatena un meccanismo del tipo: vedete, lo fanno anche loro. Il desiderio del mondo di alleggerire il proprio senso di colpa (per i secoli di maltrattamenti degli ebrei, culminati come sappiamo) è così forte che lo spinge continuamente a trarre conclusioni pericolose”, prendendo per buone ogni notizia anti-israeliana senza controllare. “Come mai – si domanda Ben-Ami – si fa ricorso così rapidamente a parole come ‘genocidio’?”. E risponde: “Perché c’è la voglia di pareggiare i conti”.
Ben-Ami ricorda ad esempio il caso del Premio Nobel Jose Saragamo che, parlando da Ramallah, equiparò ad Auschwitz l’Operazione Scudo Difensivo contro l’ondata di attentati suicidi che colpiva le città israeliane, e si chiede: “Come può parlare in questi termini una qualunque persona col lume della ragione? Nella crisi di Sri Lanka sono state uccise circa 70.000 persone, più dei morti causati da tutte le guerre d’Israele messe insieme. Eppure il mondo sa a mala pena che c’è una crisi in Sri Lanka. Quella che ne emerge è una dose notevole di cinismo e di ipocrisia double-speak”.
Conclude Ben-Ami: “E’ importante capire che questo nostro conflitto vedrà sempre coinvolti altri attori: non sarà mai semplicemente ‘noi contro i palestinesi’ o contro gli arabi. Questa non è una guerra normale, qui c’è sempre anche una guerra per l’opinione pubblica”.

(Da: YnetNews, 11.01.09)