Sono i palestinesi che hanno ucciso il processo di Oslo e le speranze di pace

Lo afferma Yair Hirschfeld, uno degli architetti degli Accordi di pace israelo-palestinesi, e spiega come è accaduto

Di Mitchell Bard

Mitchell Bard, autore di questo articolo

Yair Hirschfeld, uno dei principali architetti originari degli Accordi di Oslo, ha svolto su Fathom un’affascinante autopsia di quegli accordi e delle cause del loro fallimento. Ha scritto il suo pezzo in risposta a un libro della serie “è tutta colpa di Israele” (Preventing Palestine: A Political History From Camp David to Oslo, di Seth Anziska, 2018). Hirshfeld, per chi non lo sapesse, è un accademico laico e di sinistra, da tempo simpatetico verso la causa palestinese e strenuo sostenitore della soluzione a due stati, il che rende la sua analisi particolarmente incisiva.

Come i palestinesi e molti dei loro apologeti, l’autore del libro preso di mira da Hirshfeld è convinto che la pace verrebbe raggiunta se solo Israele ponesse fine all’“occupazione”. La reazione dei palestinesi a questa convinzione è abbastanza inaudita. Secondo Hirschfeld, quando lui, Shimon Peres e Yossi Beilin chiesero ai palestinesi se Israele dovesse ritirarsi da Cisgiordania e striscia di Gaza, si sentirono rispondere: “Noi palestinesi, prima ci uccideremo a vicenda, poi inizieremo ad uccidere voi”. E’ proprio ciò che temono molti ebrei israeliani, ed è una delle principali ragioni per cui Israele è riluttante a offrire ai palestinesi ulteriori concessioni territoriali: il che spiega anche il generale pessimismo circa le prospettive di pace.

Yair Hirschfeld

A lungo ho sostenuto che i palestinesi sono stati folli a respingere l’offerta di autonomia fatta da Menachem Begin a Camp David (1978), perché quell’offerta in realtà li avrebbe instradati lungo un percorso quasi certo verso lo stato indipendente, e avrebbe ostacolato il movimento degli insediamenti. Hirschfeld afferma che Peres espresse esattamente questo concetto ai palestinesi. Disse: “Otterreste una sorta di veto su ciò che facciamo in Cisgiordania e Gaza”, il che avrebbe impedito la crescita dei “coloni” fino ai 450.000 di oggi (Hirschfeld dice 600.000 perché evidentemente conta anche gli ebrei di Gerusalemme est).

Hirschfeld riferisce che Israele e Giordania temevano la creazione di uno stato palestinese irredentista che sarebbe caduto sotto l’influenza dei jihadisti. È interessante il fatto che Hirschfeld cita un brano dal vecchio libro di memorie di Peres Battling for Peace, in cui il visionario premio Nobel per la Pace esprimeva una visione piuttosto apocalittica, che avrebbe in gran parte lasciato cadere negli anni ’90: “A nostro avviso uno stato palestinese, sebbene inizialmente smilitarizzato, col tempo cercherebbe inevitabilmente di costruire una propria forza militare e la comunità internazionale, che necessita del massiccio sostegno del Secondo e Terzo Mondo alle Nazioni Unite, non farebbe nulla per fermarlo. Quell’esercito, alla fine, verrebbe schierato alle porte di Gerusalemme e lungo tutta la strettissima ampiezza di Israele. Ciò costituirebbe una costante minaccia alla nostra sicurezza, alla pace e alla stabilità della regione”. Si rilegga attentamente il paragrafo. Esso svela uno dei maggiori errori dei sostenitori di uno stato palestinese: l’idea, cioè, che possa essere smilitarizzato e che dunque non rappresenti una minaccia per Israele. Ho sempre trovato assurdo questo argomento. Una volta creato lo stato indipendente sarebbe impossibile impedirgli di armarsi, come si è visto con l’impossibilità di disarmare Hamas a Gaza.

Hirschfeld sostiene che era necessario “rompere il circolo vizioso della violenza”, cosa che egli propose di fare creando un’Organizzazione per la Sicurezza del Medio Oriente e una Comunità Economica del Medio Oriente per l’acqua, l’energia e il commercio: passi secondo lui necessari prima di risolvere le basilari questioni politiche del conflitto. A ben vedere, assomiglia molto alla logica che sta alla base del tanto diffamato piano “Pace per prosperità” che l’amministrazione Trump ha appena presentato in Bahrain. Scrive Hirschfeld: “Credevamo che per attrarre investimenti stranieri, sviluppare un’economia fiorente e creare le necessarie istituzioni statali, il popolo palestinese avesse un preciso interesse a rinunciare alla lotta armata, emarginare le forze militanti all’interno del sistema politico palestinese e costruire un rapporto di lavoro funzionante con tutti i vicini, incluso ovviamente Israele”. Sarebbe ovvio osservare che questo approccio fallì durante i processo Oslo, e dunque perché Trump dovrebbe aspettarsi che funzioni ora?

L’edifico del parlamento palestinese abbandonato ad Abu Dis (sobborgo est di Gerusalemme)

Hirschfeld elenca una serie di ragioni per il fallimento di Oslo. Vediamole.
1. Arafat logorò la dirigenza “locale”, che stava creando l’infrastruttura politica per lo stato.
2. Decenni prima della creazione del movimento antisemita BDS, i palestinesi avevano già adottato la politica “anti-normalizzazione” con Israele.
3. I palestinesi ripudiarono l’accordo Beilin-Abu Mazen del 1995, che offriva una soluzione per lo status di Gerusalemme proponendo che la capitale palestinese fosse stabilita nel sobborgo est di Abu Dis (dove i palestinesi infatti costruirono un edificio del parlamento, oggi vuoto e abbandonato), così come Israele ha costruito il proprio parlamento nel sobborgo ovest di Givat Ram.
4. Il piano per lo sviluppo economico è in parte fallito perché venne “sequestrato” da Yasser Arafat, che pregiudicò gli sforzi di altri palestinesi e alla fine derubò centinaia di milioni di dollari di aiuti stranieri.
5. Giordania, Israele e palestinesi avrebbero dovuto cooperare per garantire la sicurezza che avrebbe permesso a Israele di correre il rischio di ritirarsi dalla Cisgiordania, ma i palestinesi si tirarono indietro.
6. Dopo che il presidente Usa Bill Clinton e il primo ministro israeliano Ehud Barak offrirono ai palestinesi (nel 2000) uno stato sul 98% circa della Cisgiordania e su tutta la striscia di Gaza, Arafat rifiutò l’accordo.
7. La seconda intifada (scoppiata poco dopo quel rifiuto) provocò oltre mille morti israeliani, devastò l’economia, traumatizzò l’opinione pubblica e “distrusse la trama di fiducia e cooperazione israelo-palestinese”.
8. I palestinesi sprecarono l’opportunità di costruire le infrastruttura per uno stato a seguito del disimpegno israeliano da Gaza (2005). A questo proposito, Hirschfeld dimentica di citare il devastante impatto della violenza che fece seguito al ritiro israeliano, con l’intensificarsi degli attacchi terroristici e missilistici da Gaza e gli estremisti di Hamas e della Jihad Islamica che presero il controllo dell’area, strappandola all’Autorità Palestinese: tutto questo decretò la morte della formula “terra in cambio di pace” e spostò buona parte dell’elettorato israeliano verso destra, causando il tracrollo della sinistra politica e l’ascesa di Benjamin Netanyahu.
9. Nel 2008, il primo ministro israeliano Ehud Olmert incontrò Abu Mazen numerose volte e gli offrì un accordo ancora più avanzato di quello proposto ad Arafat nel 2000. Abu Mazen lo ha respinto senza mai dare nemmeno una risposta. Hirschfeld non menziona il fatto che quella fu almeno l’ottava volta in cui i palestinesi respingevano un’offerta di stato indipendente.
10. I palestinesi non hanno mai accettato nessuna iniziativa di pace americana e, durante l’amministrazione Obama, Abu Mazen si è rifiutato di negoziare con Benjamin Netanyahu (anche quando questi nel 2010 congelò per dieci mesi tutte le attività edilizie ebraiche in tutta la Cisgiordania ndr). Hirschfeld sottolinea che Abu Mazen respinse anche le proposte avanzate da John Kerry e dal Quartetto (Usa, Ue, Russia, Onu) e ha già dichiarato che respinge l’accordo “definitivo” di Trump ancora prima di vederlo.

Come osserva l’architetto di Oslo Hirschfeld, sul piano territoriale l’intero conflitto ruota intorno a pochi punti percentuali della Cisgiordania. Deciderne il destino non dovrebbe essere impossibile. “Ma il compito principale di istituire uno stato palestinese – conclude – spetta alla dirigenza e al popolo palestinesi. Dire no a ogni proposta israeliana e dedicarsi alla violenza non crea uno stato. Causa solo tragedie e continui arretramenti”.

(Da: algemeiner.com, 24.7.19)