Sostiene Abu Mazen

La domanda difficile è: Abu Mazen sarà in grado di fare ciò che dice di voler fare?

di Barry Rubin

image_449Viene generalmente dato per assodato che il motivo per cui Yasser Arafat non fece la pace nel 2000 è che non poteva convincere il suo movimento a fare quel passo. Niente di più sbagliato.
Ma, in ogni caso, coloro che ritengono che Arafat non abbia potuto fare la pace con Israele in cambio di uno stato indipendente su quasi tutti i territori, con capitale a Gerusalemme est e con più di 20 miliardi di dollari (promessi dagli americani) come indennizzi per i profughi, come possono pensare tanto facilmente che riesca farla Mahmoud Abbas (Abu Mazen)?
Allo stesso tempo è significativo che Abu Mazen, oggi capo dell’Olp, domani forse capo dell’Autorità Palestinese, voglia raggiungere una soluzione negoziata. A questo proposito, nessun documento è più interessante dell’intervista che Abu Mazen rilasciò lo scorso settembre al quotidiano giordano Al-Rai.
Prudentemente, in quell’intervista Abu Mazen indicava alcuni punti sostenuti da Arafat e soci. Quattro anni di intifada, diceva Abu Mazen, hanno dimostrato che si sbagliavano.
1) Arafat e soci si aspettavano che Israele crollasse sotto un’aggressione da più di mille morti, che il primo ministro Ariel Sharon perdesse popolarità, che perdesse il potere e che venisse sostituito da qualcuno che avrebbe fatto ai palestinesi tutte le concessioni che volevano. Invece Sharon, benché negli anni scorsi più volte censurato dagli stessi israeliani, “è diventato il più popolare leader nella storia d’Israele”.
2) Arafat e soci sostenevano che una intifada armata avrebbe liberato Cisgiordania e striscia di Gaza. Invece, diceva Abu Mazen con qualche esagerazione, “tutte le terre palestinesi sono ora occupate e indifese”. Naturalmente i “duri” sosterranno che l’imminente ritiro israeliano dalla striscia di Gaza rappresenta una vittoria della “lotta armata”. Ma dal momento che essi stessi sostengono che il disimpegno è tutto un trucco, e sanno bene che l’esercito israeliano può ritornare quando vuole, non hanno molto da rallegrarsi. Tanto più che resta da risolvere il grosso problema di capire come governare la striscia di Gaza.
3) Arafat e soci erano convinti che attaccando e uccidendo i coloni, gli insediamenti si sarebbero svuotati. Di nuovo, Abu Mazen replicava esagerando un po’ e diceva che invece gli insediamenti “sono quasi raddoppiati”.
Per di più, aggiungeva nell’intervista, i palestinesi hanno perduto gran parte del sostegno in occidente, soprattutto negli Stati Uniti, mentre l’opinione pubblica israeliana è diventata più dura sulla questione delle concessioni. “Oggi tutto il mondo condanna noi anziché condannare Sharon”, notava Abu Mazen, con la consueta esagerazione.
Che fare, dunque? La violenza deve essere fermata, affermava. I palestinesi devono “adempiere i loro impegni” sottoscritti nella Road Map per “convincere il mondo che abbiamo mantenuto le promesse e che Sharon deve mantenere le sue”. Sul versante interno, i palestinesi devono mettere ordine in casa propria: porre fine al caos e all’arbitrio intestino e dare vita a un governo funzionante che si preoccupi delle necessità della gente.
È ciò che gli israeliani desideravano sentire. Se Abu Mazen fosse davvero in grado di fare quanto dice, vi sarebbero rapidi progressi verso una pace negoziata. E il governo di Sharon agirebbe di conseguenza. Coloro che i questi anni hanno prestato attenzione alle dichiarazioni di Sharon anziché alla sua vecchia caricatura stereotipata, sanno che la posizione del governo israeliano è assai vicina a quella dell’ex primo ministro Ehud Barak che quattro anni fa accettava le proposte di Camp David e poi i punti di Clinton.
La domanda difficile è: Abu Mazen sarà in grado di fare ciò che dice di voler fare?
La cosa più facile di tutte è dire che Israele, Stati Uniti e occidente devo “aiutare” lui e i moderati. Ma cosa significa esattamente? Vi potranno essere dichiarazioni incoraggianti, incontri ad alto livello, sforzi di coordinamento sul ritiro da Gaza, misure per ricreare fiducia, aiuti economici, addestramento delle forze di sicurezza: tutte cose buone che si possono fare e che verranno fatte. Ma questo non vuol dire che avranno effetto sul comportamento o sulla politica dei palestinesi.
È facile anche parlare di democrazia come se fosse una panacea. Per l’occidente sembra impossibile concepire che possa esistere un’opinione pubblica estremista. Ma le masse possono avere un effetto di moderazione solo se sono masse moderate. Dopo così tanti anni di menzogne e di istigazione all’odio, una svolta di questo genere non può essere data per scontata.
Nel frattempo, l’altra ben più vasta estremità dello spettro politico palestinese si sta mobilitando. Decine di alti esponenti di Fatah e dell’Olp, per non dire degli islamismi, mettono in chiaro quale sia per loro il retaggio di Arafat: lotta armata fino alla vittoria, indipendentemente da quante vite umane possa costare, quanto denaro possa sperperare, quanti anni posa durare. Gli estremisti hanno la meglio, e hanno le armi. Per avere qualche possibilità, Abu Mazen dovrebbe mobilitare a proprio favore due centri di potere chiave: il Fatah e i servizi di sicurezza. E non sarebbe male se anche il Consiglio Legislativo Palestinese fosse al suo fianco. Ma non si deve dimenticare che nel settembre 2003, Fatah e Consiglio Legislativo furono pronti a condannarlo come un criminale della pace. E per quanto riguarda Fatah, il suo nuovo capo Farouk Kadoumi è uno dei più popolari oltranzisti.
Siamo sicuramente all’inizio di una nuova era, ma è un’era che si porta appresso il bagaglio di quella vecchia. Il movimento palestinese sembra avere finalmente un condottiero moderato. Il punto è se Abu Mazen è in grado di condurre.

(Barry Rubin, direttore Middle East Review of International Affairs, su Jerusalem Post, 23.11.04)

Nella foto in alto: Mahmoud Abbas (Abu Mazen)