Sostiene Kuperwasser

L'intelligence militare israeliana: 'Arafat crede in una combinazione di terrorismo e di negoziati politici.

image_264Kuperwasser ritiene che la discussione sulle valutazioni di Amos Gilad circa l’affidabilità di Yasser Arafat come partner negoziale sia “già noiosa”.
Gilad era direttore della divisione ricerche dell’intelligence militare israeliana alla vigilia della cosiddetta seconda intifada. Yossi Kuperwasser ne ha preso il posto tre anni fa, e da allora i leader israeliani ascoltano attentamente le sue valutazioni.
Kuperwasser è assai diretto. “La prospettiva dei palestinesi è quella di uno stato su tutta la Palestina [ex Mandato britannico, Israele compreso]. Cercano di nasconderlo agli occidentali, e certamente agli israeliani, giacché per loro mostrare questa prospettiva può essere controproducente. Ma la prospettiva è chiara. Non li vedrete mai scontrarsi troppo seriamente sulla prospettiva. Le dispute vertono solo su questioni personali”.
Si tratta di una prospettiva o di un sogno, come quello ormai anacronistico di una grande Israele? Kuperwasser non ha dubbi: “E’ una prospettiva. Esiste un dibattito interno fra loro su cosa possa essere raggiunto, sul come e sul quando. Ma la prospettiva è quella”.
In altre parole, la “dottrina per fasi” è ancora valida? “La dottrina per fasi è smorzata, ma ancora valida. L’obiettivo finale è del tutto chiaro”. [Nel 1974 l’Olp approvò un piano strategico “per fasi” che prevedeva la dichiarazione di uno stato indipendente su “qualunque parte di Palestina liberata”, da usare come base di partenza per continuare la lotta verso “la liberazione di tutta la Palestina” ex-mandataria].
Poco dopo la morte (per collasso cardiaco) di Faisal Husseini, allora rappresentante dell’Olp per gli affari di Gerusalemme, un piccolo settimanale egiziano chiamato El Araby pubblicò un’intervista dicendo che Husseini l’aveva rilasciata appena prima di morire. In quell’intervista Husseini parlava degli accordi di Oslo come di un “cavallo di Troia” che avrebbe permesso alle forze dell’Olp di entrare nei territori, e diceva che l’obiettivo finale è “liberare tutta la Palestina storica, dal fiume [Giordano] al mare [Mediterraneo]”. Non è facile controllare l’autenticità di un’intervista postuma. Ma secondo Kuperwasser, l’intervista a Husseini così come è stata pubblicata riflette la verità.
Vi sono sfumature diverse, ma ai suoi occhi non sono così importanti. La vecchia guardia da Arafat in giù, che ha vissuto la “naqba” [letteralmente “il disastro”, termine con cui i palestinesi indicano la nascita dello stato di Israele], non può rinunciare a questa prospettiva. “Dal loro punto di vista, il diritto al ritorno [dei profughi e dei loro discendenti all’interno di Israele anche dopo la nascita di uno stato palestinese] è un elemento concreto, non una semplice carta da giocare nel negoziato. Nella generazione di mezzo – aggiunge Kuperwasser – c’è più gente che pensa che l’obiettivo ‘tutta la Palestina’ sia poco realistico. Tra loro c’è un po’ più di flessibilità sul ‘diritto al ritorno’. Ma ci vuole la lente di ingrandimento per vedere questa flessibilità”.
Un esponente della generazione di mezzo, Mohammed Dahlan [“uomo forte” a Gaza, spesso indicato come possibile interlocutore di Israele], ha scritto su Ha’aretz il 31 gennaio 2002 di una “giusta soluzione del problema dei profughi, una soluzione che non alteri l’aspetto demografico dello stato di Israele”. Non suona poi così male. Ma non convince Kuperwasser. In ogni caso, egli sa che Arafat si rifiutò di usare quella frase quando, pochi giorni dopo, firmò un articolo sul New York Times del 3 febbraio. “Comprendiamo le preoccupazioni demografiche di Israele – scrisse Arafat – e comprendiamo che il diritto al ritorno dei profughi palestinesi, un diritto garantito dal diritto internazionale e dalla risoluzione Onu 194, deve essere attuato in modo tale da tener conto di tali preoccupazioni”. Naturalmente si potrebbe elaborare una “dottrina dei gap” sulle differenze tra il testo di Dahlan e quello di Arafat. Secondo Kuperwasser, la linea dura di Arafat spicca in tutta la sua evidenza.
Kuperwasser attira l’attenzione sull’ultima intervista di Arafat, pubblicata su Ha’aretz lo scorso 18 giugno, nella quale evita accuratamente di esprimere appoggio al cosiddetto accordo di Ginevra, limitandosi a dire che ha mandato un suo inviato alla cerimonia. L’inviato era Manuel Hassassin, “un inviato davvero molto autorevole”, dice Kuperwasser in tono ironico. O forse era Arafat che parlava con ironia.
Sì, concorda Kuperwasser, fra palestinesi è in corso un vero dibattito su quali strumenti possano avvicinare meglio il loro obiettivo. Vi sono gruppi che credono nel “sacro terrore”, e c’è una piccola minoranza che crede nei negoziati politici. Tra questi due approcci vi sono diverse possibili di combinazioni di terrorismo e negoziati politici. “Sappiamo perfettamente dove si colloca Arafat – dice Kuperwasser – Arafat crede in una combinazione di terrorismo su entrambi i versanti della Linea Verde [l’ex linea armistiziale fra Israele e Giordania dal 1949 al 1967] e di negoziati politici, con particolare enfasi sull’aiuto internazionale”. Nel dibattito sulle dosi di terrorismo, aggiunge Kuperwasser, non c’è alcuna discussione fra palestinesi sulla immoralità del terrorismo. Solo sulla sua maggiore o minore efficacia.
Arafat è personalmente coinvolto nel terrorismo? Per tutta risposta Kuperwasser mostra un video girato lo scorso 31 gennaio, due giorni dopo un attentato su un autobus di Gerusalemme [11 morti e 50 tra feriti e mutilati rivendicati dalle Brigate Martiri di Al-Aqsa di al-Fatah]. Nel video Arafat eccita la folla scandendo ripetutamente lo slogan: “Un milione di martiri in marcia verso Gerusalemme”, e la sua gente capisce perfettamente cosa intende. “Che cosa ha dichiarato pochi giorni fa Zakariye Zabidi? – cita Kuperwasser – Quando vedo Arafat so immediatamente cosa devo fare”. Zabidi è il capo della milizia Tanzim a Jenin.
Questa, dunque, è la valutazione di Kuperwasser, la valutazione del capo della divisione ricerche dell’intelligence militare israeliana, quella che sta sulle scrivanie dei “decisori politici” di Israele e che probabilmente contribuisce a forgiarne le opinioni. Un’opinione tagliente come una lama di rasoio. O forse troppo uni-dimensionale. Non sarebbe meglio discutere della sua validità, anziché perdersi a litigare sulle divergenze di quasi quattro anni fa?

(Yoel Esteron su Ha’aretz, 23.06.04)

Vedi anche:

Cosa intendono quando dicono fine dell’occupazione?

http://israele.net/prec_website/mappepal/pagina01.html