Spettacolo ripugnante

L'ultima esibizione di Hamas dovrebbe disgustare in primo luogo gli altri musulmani

Da un editoriale del Jerusalem Post

image_2345L’adunata di massa organizzata domenica da Hamas a Gaza per celebrare il proprio 21esimo anniversario è stata uno spettacolo rivoltante per qualunque israeliano. Con quella crudeltà che è il marchio di fabbrica dell’organizzazione islamista palestinese, il raduno contemplava anche una offensiva messa in scena in cui una comparsa nei panni dell’ostaggio israeliano Gilad Shalit implorava libertà in ebraico piagnucolando, per la gioia della folla, “mi mancano mamma e papà”.
A Hamas non può importare di meno del dolore deliberatamente inflitto ai genitori di Shalit a più di novecento giorni da sequestro del figlio. Nel momento in cui celebra il proprio 21esimo compleanno, Hamas non presta la minima considerazione al fatto che a Shalit è stata negata la più basilare libertà personale nei suoi 20esimo, 21esimo e 22esimo compleanni. Anzi, lo scopo è proprio quello di mettere il dito sulla piaga sperando di far montare, all’interno di Israele, la pressione dell’opinione pubblica sul governo affinché accetti il genere di “scambio” assurdamente squilibrato che Hamas pretende: un soldato, sequestrato mentre era regolarmente in servizio di guardia all’interno dei confini di Israele, in cambio della scarcerazione in massa di centinaia se non migliaia di palestinesi detenuti per reati contro la sicurezza del paese, compresi assassini manifesti.
Ma la totale insensibilità di Hamas esibita nell’adunata di domenica non dovrebbe disgustare soltanto gli israeliani. Dovrebbe dare da pensare al mondo intero, e in primo luogo ai correligionari di Hamas.
Il dichiarato proposito di Hamas di perseguire l’eliminazione di Israele, il trattamento disumano che riserva a Schalit, l’uso cinico delle aree abitate palestinesi come basi di lancio per i mai cessati attacchi di razzi contro Israele, il sanguinoso golpe contro il governo dell’Autorità Palestinese nella striscia di Gaza: tutto questo, così come le campagne di attentati suicidi, viene perseguito ufficialmente in nome dell’islam.
“Qualcuno potrebbe domandarsi in cosa consista lo spirito dell’islam”, medita un sito web basato in Canada intitolato appunto Spirito dell’Islam. La sintetica risposta è che la fede si può definire come “una buon equilibrio tra conoscenza e azione, un armonioso amalgama di pace, gentilezza, giustizia, onestà, integrità e rispetto”.
Purtroppo non è questo l’islam, secondo la definizione di Hamas. E non è tale l’approccio all’islam propugnato da Hezbollah, l’altrettanto feroce “grande fratello” di Hamas in Libano. Né lo è quello del loro comune Stato sponsor, l’Iran, che ora cerca di dotarsi di armi nucleari per perseguire la sua volontà di annientare Israele.
Hamas sostiene di rappresentare un islam umano. Uno dei suoi leader a Gaza, Mahmoud Zahar, ha sostenuto la scorsa settimana che Shalit viene trattato bene perché “l’islam tratta bene gli ostaggi”. Ma lo stesso Zahar ha dovuto ammettere che Hamas ha sempre costantemente respinto ogni richiesta di far vedere l’ostaggio alla Croce Rossa, come prevedrebbe il diritto internazionale.
Hamas sostiene di rappresentare un islam umano, eppure – dopo il ritiro unilaterale di Israele dalla striscia di Gaza – risolse di far soffrire la propria stessa gente intensificando il fuoco oltre confine, e distruggendo in questo modo l’occasione che si offriva ai palestinesi di avviare il processo di costruzione del loro Stato. Ora Hamas minaccia di porre fine a sei mesi di “cessate il fuoco” fra Gaza e Israele – un concetto molto relativo, che ha già perso gran parte del suo significato – rischiando di innescare altre inutili violenze.
Va dato atto che la maggior parte della comunità internazionale ha finora resistito all’idea di legittimare Hamas almeno finché non riconosce il diritto di Israele ad esistere, non abbandona il terrorismo e non accetta quanto previsto dagli accordi israelo-palestinesi già firmati. Ma la comunità internazionale talvolta perde di vista il fatto che le sofferenze a Gaza, quando Israele cerca di sventare gli attacchi ai suoi civili, sono diretta conseguenza della indisponibilità di Hamas ad accettare queste condizioni minime.
Persino i leader israeliani talvolta sfugge l’impossibilità di trattare con questa trista e irriducibile Hamas. Tuttavia, anche se si sono tirate addosso le critiche dei sostenitori della linea “Shalit libero ad ogni costo”, purtroppo le recenti dichiarazioni del ministro degli esteri Tzipi Livni e del potenziale ministro della difesa del Likud Moshe Ya’alon non hanno fatto che dare voce a un tardivo buon senso. La scorsa settimana, prlando a un gruppo di liceali di Tel Aviv, la leader di Kadima ha detto: “Tutti noi vogliamo riportare Gilad a casa, ma (in guerra) c’è sempre una dose di rischio di subire perdite e non è sempre possibile riportare tutti a casa”. Domenica, parlando a radio Galei Tzahal, l’ex capo di stato maggiore Ya’alon ha chiesto retoricamente: “Siete disposti a cedere lo Stato di Israele in cambio di un prigioniero?”. Le pretese di Hamas sono insaziabili perché la sua opposizione a Israele è assoluta. Un’organizzazione che ha decimato la sua stessa gente quando ha preso il potere a Gaza nel giugno 2007 non si fa nessuno scrupolo nello strumentalizzare, prendere in ostaggio, uccidere la nostra gente.
Israele non può permettersi illusioni in fatto di fronteggiare, emarginare e infine sconfiggere Hamas. Coloro che aderiscono a un islam davvero diverso da questo, a un islam di “pace, gentilezza, giustizia, onestà, integrità e rispetto” dovrebbero condividere questo obiettivo.

(Da: Jerusalem Post, 15.12.08)