Stille Nacht, la notte (troppo) silenziosa

I cristiani palestinesi si schierano contro l'occupazione israeliana perché altrimenti i musulmani considerano il loro silenzio un tacito sostegno a Israele

Editoriale del Jerusalem Post

L’arcivescovo Atallah Hanna e il muftì di Betlemme Abdel Majid Amarana posano nel campus di Abu Dis (Gerusalemme est) dell’Università palestinese Al-Quds a fianco dell'albero di Natale nazionalista” decorato con le immagini di “martiri” palestinesi uccisi nei mesi scorsi mentre cercavano di assassinare cittadini israeliani

L’arcivescovo Atallah Hanna e il muftì di Betlemme Abdel Majid Amarana posano nel campus di Abu Dis (Gerusalemme est) dell’Università palestinese Al-Quds a fianco dell’albero di Natale nazionalista” decorato con le immagini di “martiri” palestinesi uccisi nei mesi scorsi mentre cercavano di assassinare cittadini israeliani

Il Natale sarà più cupo, quest’anno a Betlemme, un riflesso della tesa situazione della sicurezza che ha già velato la recente celebrazione di Hanukka, la festa ebraica delle luci.

La mattina della vigilia, come sempre, il Patriarca latino di Gerusalemme Fouad Twal lascia la capitale alla testa del tradizionale corteo di auto diretto a Betlemme per celebrare la messa nella Chiesa della Natività. Ma lo spirito di Yasser Arafat continua a recitare la parte del “convitato di pietra” nella messa di mezzanotte, con la sua sedia vuota nella Chiesa della Natività a simboleggiare il retaggio di terrorismo che ha tramandato alla regione.

A Betlemme si celebrano tre Natali: il 25 dicembre è la data tradizionale osservata dai cattolici e dalle varie denominazioni protestanti mentre greci, copti e siriaci ortodossi celebrano il Natale il 6 gennaio, e gli armeni ortodossi il 19 gennaio. Molte feste, ma sempre meno cristiani. La popolazione cristiana di Betlemme è drasticamente diminuita da quando l’Autorità Palestinese ha preso il controllo della città nel dicembre 1995. I cristiani, che una volta costituivano il 90% della popolazione, oggi rappresentano meno del 25% stando alla stime israeliane, addirittura il 15% secondo altre fonti.

I cristiani che vivono in Cisgiordania sono circa 35.000, 3.000 quelli che vivono nella  striscia di Gaza, pari a circa l’1,3% della popolazione palestinese. L’Autorità Palestinese, la cui religione ufficiale è l’islam, sin dalla presa di potere da parte di Arafat si è adoperata per islamizzare Betlemme. La zona di Betlemme, Beit Jala e Beit Sahur, prevalentemente cristiana per secoli, è stata trasformata dall’immissione di abitanti musulmani. Circa il 60% delle famiglie cristiane sono fuggite e ora i musulmani costituiscono il 75% della popolazione.

Incendio doloso al Monastero di S. Charbel di Betlemme, settembre 2015

Incendio doloso al Monastero S. Charbel a Betlemme, settembre 2015

I cristiani che restano, molti dei quali lavorano nel settore del turismo, riferiscono che quest’autunno il numero di turisti a Betlemme è stato la metà di quello degli anni precedenti. La scorsa settimana è stato acceso l’albero di Natale nella Piazza della Mangiatoia, ma sono mancati i consueti fuochi d’artificio. Significativamente in Piazza della Mangiatoia un gruppo di attivisti palestinesi ha eretto un “albero della resistenza”: il tronco di un ulivo che sostengono essere stato sradicato dall’esercito israeliano, decorato con candelotti lacrimogeni sparati dalle truppe durante manifestazioni violente.

Per secoli Betlemme era stata in gran parte cristiana. Ma uno dei primi provvedimenti presi da Arafat quando l’Autorità Palestinese assunse il controllo della città grazie agli accordi con Israele del 1995 è stato quello di espanderne i confini municipali per assicurare una maggioranza islamica incorporando più di 30.000 musulmani dei vicini campi palestinesi. Il capo dell’Olp suggellò poi la sua presa del potere sostituendo il consiglio comunale a magioranza cristiana con una dirigenza a predominanza musulmana.

Probabilmente nulla ha rappresentato il cambiamento della sorte di Betlemme meglio di quanto abbia fatto la violenta occupazione della Chiesa della Natività ad opera di terroristi di Arafat nella primavera 2002. Per sottrarsi all’arresto da parte delle Forze di Difesa israeliane, decine di miliziani armati musulmani fecero irruzione nella basilica, ne presero il controllo e vi tennero sequestrati un certo numero di ostaggi. Per più di un mese profanarono senza ritegno il luogo sacro cristiano, in una situazione di stallo, ben sapendo che Israele non avrebbe mai attaccato la basilica per costringerli alla resa.

Sulla bandiera palestinese: "Prima quelli del sabato, poi quelli della domenica". Spiega Lela Gilbert: "Quelli del sabato sono naturalmente gli ebrei, oggi praticamente scomparsi dai paesi arabi musulmani e continuamente combattuti in Israele. Ora sono nel mirino quelli della domenica, i cristiani, anch'essi costretti a fuggire a ritmi allarmanti".

Sulla bandiera palestinese: “Prima quelli del sabato, poi quelli della domenica”. Spiega Lela Gilbert: “Quelli del sabato sono naturalmente gli ebrei, oggi praticamente scomparsi dai paesi arabi musulmani e continuamente combattuti in Israele. Ora sono nel mirino quelli della domenica, i cristiani, anch’essi costretti a fuggire a ritmi allarmanti”.

Questi precedenti sbugiardano il messaggio natalizio del presidente dell’Autorità Palestinese Mahmoud Abbas (Abu Mazen) che esorta il mondo a difendere i palestinesi da Israele. “Gesù è un simbolo per tutti i palestinesi – ha proclamato Abu Mazen – un messaggero d’amore palestinese“. In effetti, lo stesso Yasser Arafat aveva sfacciatamente sostenuto che Gesù è stato il primo shahid (martire) palestinese.

La profanazione musulmana di santuari cristiani ed ebrei è un dato di fatto. Storicamente nella società islamica ebrei e cristiani sono considerati dhimmi, cittadini di seconda classe, e sono trattati di conseguenza. I territori dell’Autorità Palestinese, in base all’articolo 7 della Costituzione dell’Autorità Palestinese, sono soggetti alla sharia, la legge islamica.

Sin dalla guerra del 1948 le comunità arabe cristiane in Cisgiordaniahanno patirono un diverso tipo di “occupazione”: rifugiati musulmani vennero cinicamente impiantati in mezzo a loro nei campi profughi perché servissero come un’arma contro Israele. Prima della guerra del ’48, Ramallah era cristiana al 90% e Betlemme era cristiana all’80%. Nel 1967, dopo vent’anni di dominio arabo-islamico, quasi metà degli abitanti di Betlemme erano musulmani, e Ramallah è diventata oggi una grande città musulmana.

I cristiani palestinesi sentono di doversi schierare contro l'”occupazione” israeliana perché, se non lo fanno, i musulmani considerano il loro silenzio come un tacito sostegno a Israele.

I leader cristiani nel mondo che rimangono in silenzio di fronte alla condizione dei cristiani palestinesi preferiscono ignorare spensieratamente uno dei più diffusi slogan che dà voce al vero obiettivo della “resistenza” palestinese: “prima il popolo del sabato, poi quello della domenica”. Prima tocca agli ebrei, poi ai cristiani: uno slogan con cui sono stati imbrattati i muri di molte chiese locali.

Anche per questo, ai nostri lettori cristiani auguriamo un buon Natale e un felice anno nuovo.

(Da: Jerusalem Post, 23.12.15)