Sulla tragedia della spiaggia di Gaza

Vale la pena ricordare alcune semplici verità che tendono ad essere dimenticate

Da un editoriale del Jerusalem Post

image_1255La tragedia di venerdì sulla spiaggia di Gaza potrebbe rivelarsi simile alla sparatoria che causò la morte del piccolo Mohammed al-Dura nel 2000, al cosiddetto “massacro di Jenin” del 2002, alla morte di ventun persone nel campo palestinese di Jabaliya il 23 settembre 2005: tutti casi in cui le fonti palestinesi inizialmente accusarono Israele. Poi è emerso che al-Dura potrebbe non essere stato ucciso dal fuoco israeliano ma da quello palestinese, che a Jenin non c’era stato alcun massacro ma una dura battaglia, e che i morti nel campo di Jabaliya erano stati causati dall’esplosione “accidentale” di ordigni che terroristi di Hamas stavano esibendo durante un raduno di massa.
Lo ha ricordato domenica Ra’anan Gissin, consigliere del primo ministro israeliano Ehud Olmert. “Non si deve saltare alle conclusione – ha detto Gissin – prima che emergano prove sicure. Non conosciamo ancora i fatti. I palestinesi hanno immediatamente rimosso e distrutto tutte le prove. Bisognerebbe chiedersi: perché?”.
Come Israele ha avviato un’inchiesta, dice Gissin, così la comunità internazionale dovrebbe chiedere che facciano anche i palestinesi. Ma invece di farlo, i palestinesi rimuovono ogni prova dalla scena…
A Jabaliya nel settembre scorso, ricorda Gissin, c’erano troppo testimoni che videro ciò che era accaduto perché potesse passare la versione, che pure Hamas cercò di accreditare, dell’esplosione provocata da un elicottero israeliano. “Oggi – aggiunge – ci troviamo di fronte a un classico caso in cui non ci sono prove concrete, e tutto quello che abbiamo è la foto di una ragazzina che piange sulla spiaggia. Nessuno sa esattamente come siano morte quelle sette persone. Se è stato un proiettile israeliano, come mai i palestinesi non hanno subito portato la stampa a vedere i resti dell’ordigno? Come mai sono stati così veloci nel rimuovere tutto?”…
Dal canto suo, il portavoce del ministero degli esteri Mark Regev ha affermato che, pur dando eccessivamente per scontata la responsabilità israeliana prima delle fine dell’inchiesta, tuttavia nessuna delle più autorevoli agenzie di informazione internazionali ha accusato Israele d’aver intenzionalmente mirato ai civili, e quasi tutte hanno menzionato il fatto che Israele ha subito espresso profondo rincrescimento per l’incidente. Regev ha spiegato che lo sforzo è stato quello di spiegare che: primo, Israele considera una tragedia intollerabile la perdita di civili ma non intende assumersi responsabilità finché sono ancora in corso le indagini su quello che accaduto esattamente; e che, secondo, le violenze dentro e attorno a Gaza sono il risultato dell’attività di gruppi estremisti palestinesi che continuano a lanciare missili e razzi su Israele anche dieci mesi dopo che Israele ha ritirato tutti i suoi civili e militari dalla striscia di Gaza.

A proposito della vicenda, scrive l’editoriale del Jerusalem Post di domenica:

Vale la pena ricordare alcune semplici verità che tendono ad essere dimenticate. Primo: mentre fronteggia un nemico che è apertamente votato a causare il massimo numero possibile di vittime civili, Israele cerca sempre di ridurre al minimo tali vittime anche quando è impegnato a difendere se stesso. I terroristi di Fatah, Hamas e Jihad Islamica mirano deliberatamente a uccidere e mutilare civili, sia nei territori contesi sia in quelli (dentro Israele) che in teoria contesi non sarebbero, e mostrano ben poca considerazione per i “danni collaterali” che questo genere di attacchi possono infliggere alla loro stessa popolazione. Israele, all’opposto, agisce sforzandosi di fare di tutto per sventare il terrorismo senza colpire i civili dalle cui zone abitative i terroristi operano senza ritegno.
Secondo: in tempi di guerra e di conflitto, gli incidenti succedono. Israele sta attentamente indagando quello di venerdì scorso e vuole sinceramente capire cosa è accaduto per assicurarsi che, se le Forze di Difesa israeliane ne sono state la causa, se ne tragga insegnamento e si adottino le misure necessarie.
Il terzo punto, fondamentale per capire questa nostra realtà spesso sanguinosa, è un fatto semplice e innegabile che dovrebbe essere del tutto evidente, ma che evidentemente deve essere ripetuto: Israele non avrebbe alcun interesse né alcun bisogno di sparare con l’artiglieria o qualunque altra arma sulla striscia di Gaza se il territorio sovrano d’Israele non venisse incessantemente attaccato dalla striscia di Gaza. Con un’azione traumatica, la scorsa estate Israele ha ritirato tutti i suoi civili e militari dalla striscia di Gaza. Israele non avanza su quel territorio alcuna rivendicazione e desidera solo che vi sia quiete al confine. Attualmente continua a fornire ai palestinesi della striscia di Gaza acqua ed elettricità, cercando al contempo di controllare gli ingressi via cielo, terra e mare per impedire il contrabbando di armi ed esplosivi: controlli che si risparmierebbe volentieri se potesse contare su un’Autorità Palestinese guidata da un governo responsabile, votato ad impedire tali traffici e l’uso di armi contro Israele. L’amara verità, tuttavia, è che i palestinesi, lungi dal scegliere un tale governo, all’inizio di quest’anno si sono messi nelle mani di un’Autorità Palestinese dominata dagli estremisti islamisti di Hamas. I dirigenti di Hamas dicono di voler servire gli interessi del popolo palestinese, ma delegittimando completamente Israele, incoraggiando il terrorismo e predicando un’ideologia di odio in aperto contrasto con ogni riconciliazione, in realtà fanno tutto il contrario: non fanno altro che perpetuare un conflitto che può arrecare loro solo danni e disperazione.
La reazione di Hamas ai morti di venerdì evidenzia la bancarotta di questo loro approccio. Una dirigenza che cercasse genuinamente di agire nell’interesse della propria popolazione farebbe appello e cercherebbe attivamente di ottenere la cessazione dei lanci di Qassam e altri tipi di attacchi anti-israeliani. E’ del tutto evidente che la cessazione di questi attacchi porrebbe fine alle risposte israeliane, garantendo una vita normale ai palestinesi della striscia di Gaza. Invece Hamas è tornata apertamente ad affiancarsi a quei gruppi che i Qassam non hanno mai smesso di lanciarli oltre confine, costringendo Israele ad assumere ulteriori misure per farli cessare.
Per quanti sforzi Israele abbia fatto e farà per cercare di ridurre al minimo le vittime civili nelle sue reazioni per fermare il terrorismo, Hamas, spingendo le cellule terroristiche verso sempre maggiori violenze, sta deliberatamente mettendo in potenziale pericolo la propria stessa gente… Il comandante israeliano della regione sud gen. Yoav Gallant l’ha detto chiaramente venerdì, parlando ai giornalisti: “Se le organizzazioni terroristiche continueranno a fare fuoco verso la nostra popolazione civile, noi dovremo reagire severamente. Siamo sotto attacco e useremo tutti i mezzi necessari, pur prendendo tutte le massime precauzioni possibili. Purtroppo gli incidenti succedono. Questo è stato un tragico incidente, e se è stato effettivamente causato da un nostro errore, faremo in modo di porvi rimedio”.
Coloro che condannano Israele perché cerca di difendersi, di fatto non fanno per nulla gli interessi degli innocenti per la cui sorte dicono di essere angosciati. Il modo giusto per evitare altri spargimenti di sangue è esigere e garantire la cessazione degli atti di aggressione che ne stanno all’origine, non incolpare una nazione che è sotto attacco per quelle occasioni – di cui quello di venerdì potrebbe risultare o meno un esempio – in cui accade che il suo fuoco di autodifesa va fuori bersaglio.

(Da: Jerusalem Post, 11.06.06)