Sulla vetta del mondo

Nell'economia del mondo di ieri, Israele non aveva molte chance. Invece la nuova economia si adatta come un guanto a Israele e al carattere del popolo ebraico

Di Ariel Bolstein

Ariel Bolstein, autore di questo articolo

L’autorevole rivista The American Interest ha recentemente incluso Israele nella sua lista annuale delle otto maggiori potenze mondiali. Ora che ci siamo abituati a vedere Israele nella parte alta di varie classifiche di settore (dai leader della tecnologia all’elenco dei premi Nobel), per la prima volta ci ritroviamo introdotti nel club delle potenze complessiva.

La forza complessiva di Israele si basa sui suoi successi economici, militari e diplomatici. In ognuna di queste aree ha conosciuto sviluppi positivi e cambiamenti concreti. Gli autori della classifica di American Interest osservano che Israele non ha solo beneficiato di una certa dose di fortuna (il riferimento è alle risorse di gas naturale scoperte al largo delle sue coste): secondo loro, il principale successo del paese è quello di aver saputo prendere decisioni sagge in situazioni complicate.

Oggi è chiaro che, nonostante i tanti che si sono opposti e che continueranno a farlo, i cambiamenti strutturali dell’economia israeliana che hanno caratterizzato il passaggio dalla vecchia struttura prevalentemente socialista (forse adeguata ai primi decenni di costruzione dello stato) ad un’economia moderna hanno salvato il paese e gli hanno permesso di accedere al gruppo di testa dei paesi-leader della nuova rivoluzione industriale.

Oltre ai corretti cambiamenti economici, Israele sta anche beneficiando dei massicci mutamenti nel mondo. Il più importante ha a che fare con il declino dell’industria tradizionale e la nascita di un’economia basata sulla conoscenza. Nell’economia del mondo di ieri Israele non aveva molte possibilità: un paese piccolo con una popolazione ridotta, senza risorse naturali né acqua, circondato da nemici spietati: era difficile immaginare un punto di partenza più arduo.

Ma l’economia del XXI secolo non richiede ciò che Israele non ha (territorio, risorse naturali e una grande quantità di manodopera disciplinata). Essa richiede una cosa sola: capitale umano. La nuova economia si adatta come un guanto a Israele e al carattere nazionale del popolo ebraico.

Anche in questo abbiamo avuto una certa dose di fortuna. Una parte enorme del meraviglioso capitale umano d’Israele ci è semplicemente caduto in grembo dagli aerei che portavano qui gli ebrei immigranti da tutto il mondo, in particolare l’ondata di immigranti provenienti dall’ex Unione Sovietica negli anni ‘90. In molti settori importanti come la medicina, l’istruzione scientifica e l’high-tech, da un terzo alla metà degli addetti sono nati in quello che era l’impero sovietico. Bisogna ringraziare il Signore, e la rete clandestina sionista che non cessò mai di funzionare in Unione Sovietica, per questo dono eccezionale che continua a dare frutti.

Le otto potenze più influenti nel mondo all’inizio del 2017, secondo la rivista “American Interest”: Usa, Cina, Giappone, Germania, Israele, Russia, Iran, India

Ma non meno importante è promuovere la prossima generazione di esperti nati in Israele. Affinché questo accada, e la nostra posizione fra i primi otto non si esaurisca in un fuoco di paglia, dobbiamo cambiare il nostro modo di pensare. Israele deve adottare una mentalità vincente e puntare al primo posto: in tutto, ma soprattutto nella conoscenza. Lungo il precorso, dovremo adottare i modelli appropriati: gli eroi culturali dello stato ebraico dovrebbero essere i premi Nobel, non i vincitori dei reality televisivi. Come disse il profeta del sionismo Theodor Herzl, “se lo vorrete, non sarà sogno”.

(Da: Israel HaYom, 29.1.17)