Terra di paradossi

La posizione degli arabi sarà sempre il contrario di quella di Israele

Da un articolo di Aluf Benn

image_1274Paradosso numero uno. La tradizionale posizione araba sui territori occupati nel 1967 era che non c’era bisogno di alcun negoziato, né di dialogo, né di riconoscimento diplomatico: gli arabi esigevano che Israele si ritirasse puramente e semplicemente da Sinai, Golan, Cisgiordania e striscia di Gaza in attuazione di quella che era la loro interpretazione della risoluzione Onu 242, col che si sarebbe chiusa la questione aperta con le conquiste israeliane del 1967 e tutto sarebbe tornato come prima. Era Israele che, viceversa, chiedeva una stretta di mano, foto di gruppo per i giornali, bandiere che sventolassero una accanto all’altra in cambio dello sgombero dei territori. Fu così che nacque la formula “pace in cambio di territori”. Anwar Sadat venne a Gerusalemme e ottenne il Sinai. Hafez Assad si rifiutò di venire, e restò senza Golan.
Oggi i ruoli sembrano invertiti. Israele vuole andarsene da gran parte della Cisgiordania, attuando così la risoluzione 242 (che nella versione ufficiale inglese prevede il ritiro da una parte dei territori occupati). Ehud Olmert non vuole niente dagli arabi in cambio delle alture di Cisgiordania: non si aspetta la pace, non chiede lettere affettuose, non esige vertici davanti alle telecamere. Ma oggi sono gli arabi che vorrebbero condizionare il ritiro a negoziati e foto di gruppo. Basta vedere gli appelli di Mahmoud Abbas (Abu Mazen) per un incontro con Olmert, e gli sforzi che fanno il presidente egiziano Hosni Mubarak e re Abdullah di Giordania per ospitare un siffatto incontro. Strano, vero?
Paradosso numero due. Per decenni l’occupazione israeliana e la creazione di decine di insediamenti nei territori sono state descritte come il vero ostacolo alla pace, come la più grave minaccia alla sicurezza della regione se non del mondo intero. Generazioni di diplomatici, politici e intellettuali si sono mobilitati per porre fine all’occupazione e smantellare gli insediamenti, fino al punto di legittimare anche il peggiore terrorismo palestinese come una guerra di liberazione contro il furto di terra, i posti di blocco, le umiliazioni. Una coalizione formata da paesi arabi, paesi non allineati e paesi membri dell’Unione Europea bloccava come un muro compatto tutti gli sforzi che Israele faceva per giustificare il suo controllo e i suoi insediamenti nei territori sulla base di argomenti politici, storici, giuridici. La pressione ha funzionato, e Israele si è fatto convincere. Oggi vuole ritirarsi dal 90% della Cisgiordania, sgomberando almeno 70.000 coloni, dopo aver dimostrato la serietà delle proprie intenzioni con il completo disimpegno dalla striscia di Gaza. E cosa fanno i palestinesi e i loro supporter in giro per il mondo? Dicono no a Olmert. No, non ti muovere. Resta negli insediamenti di Itamar, Elon Moreh e Psgaot fino a quando non ti daremo il permesso di andartene. Mohammed Dahlan si è spinto al punto di minacciare una guerra se il piano di convergenza israeliano venisse messo in atto. Cosa succede? Com’è che, appena Israele capisce che i territori e gli insediamenti sono un onere e non una risorsa, improvvisamente i palestinesi non li vogliono più?
Paradosso numero tre. I pacifisti, israeliani e non, hanno sempre predicato che bisognava abbandonare la mentalità da occupanti e trattare i palestinesi come persone degne di rispetto, e non come sudditi. Ma questo andava bene finché i palestinesi riconoscevano nei leader di Fatah i loro leader. Quando invece gli elettori palestinesi nei territori hanno scelto Hamas con elezioni corrette e democratiche, l’atteggiamento è inopinatamente cambiato. Oggi i pacifisti dicono che i palestinesi non intendevano veramente votare Hamas, e si prodigano per intervenire negli affari interni palestinesi, e vogliono che si faccia tutto il possibile per mettere Abu Mazen in condizione di riprendere il controllo dell’Autorità Palestinese. Come hanno potuto, questi palestinesi, scegliere dei leader che volevano loro, e non quelli che volevano i pacifisti? I pacifisti sostengono lo sgombero degli insediamenti solo se rafforza Abu Mazen come “partner per un accordo di pace”. Se Abu Mazen resta debole, meglio perpetuare quel “vero ostacolo alla pace” che sono gli insediamenti, almeno finché Fatah non sarà tornata al potere.
E la realtà? La realtà è che bisogna fissare delle priorità. Se Israele vuole stabilire un nuovo confine e ritirare i coloni nel proprio territorio al di qua di quel confine, deve farlo da sé. Condizionare il piano di convergenza ad un accordo coi palestinesi mentre l’Autorità Palestinese è così lacerata al proprio interno farebbe solo naufragare il ritiro. E l’idea che si possa barattare Yitzhar e Itamar con un ritorno di Fatah al potere è un’illusione sbagliata e pericolosa. Bisogna concentrarsi sulla questione principale, nella consapevolezza che su questo non c’è alcun paradosso: nelle circostanze attuali, la posizione degli arabi sarà sempre il contrario di quella di Israele, quale che sia.

(Da: Ha’aretz, 22.06.06)