Terra in cambio di terra, pace in cambio di pace

La formula “terra in cambio di pace” si è rivelata sbilanciata e fallimentare.

Di Guy Bechor

image_3221Sin dalla guerra dei sei giorni abbiamo tutti sentito ripetere come un mantra lo slogan “terra in cambio di pace”: il minuscolo Israele, un puntolino sul mappamondo, cederà “terra” e in cambio riceverà “pace” dalla parte araba. Un mantra così universale che venne accettato in Israele come una verità assoluta che non può essere messa in discussione, sino al punto che gli israeliani si sono convinti che la cosa fosse positiva anche per loro. Ora però, alla luce delle violente scosse sperimentate dal mondo arabo negli ultimi mesi, non si può sfuggire all’ asserzione che quel mantra non è più valido.
Mentre Israele ha pagato in moneta sonante, concreta e irreversibile, cedendo terre alla parte araba, gli arabi l’hanno ripagato con moneta astratta e immateriale, completamente reversibile: vale a dire, parole e accordi cartacei. Ora sentiamo sostenere che quegli accordi vennero fatti con i regimi e non con i “popoli”, cioè che mancano di qualunque legittimità.
In Egitto si levano molte voci, comprese quelle di alcuni candidati alle presidenza, che proclamano che gli Accordi di Camp David con Israele devono essere annullati o quantomeno modificati. Cioè: che vanno modificati gli aspetti che riguardano la “pace” con Israele. Ma se gli egiziani vogliono annullare gli Accordi di Camp David, restituiranno per questo la penisola del Sinai a Israele? Dopotutto la ricevettero grazie al trattato di pace fra i due stati, dopo che non erano riusciti ad assicurarsela con la guerra. Eppure, per qualche ragione, questa eventualità per loro è del tutto impensabile.
Si noti che il trattato di pace con l’Egitto sta già subendo cambiamenti, con una certa noncuranza, rispetto al dispiegamento di truppe egiziane nel Sinai: un punto che costituiva uno degli elementi principali dell’accordo. Il che conferma quanto facilmente si possano cambiare degli accordi e delle intese fatti di parole, ed eventualmente anche annullarli del tutto. A poco a poco l’esercito egiziano sta tornando nel Sinai settentrionale, una mossa che potrebbe comportare severe conseguenze nei rapporti con Israele. Forse che intanto muta qualcosa sul versante “terra”? Forse che Israele si è ripresa Taba o il controllo sullo stretto di Tiran? Naturalmente no.
E perché poi il minuscolo Israele deve pagare con la “terra”? Dopotutto i paesi arabi attorno a lui posseggono enormi estensioni di territorio. Perché non dovrebbero pagare anche loro con la “terra” quando Israele dà loro in cambio la pace?
Ora si vede quanto fosse spudoratamente sbilanciata quella formula. Peggio, essa presupponeva una presunta “colpa” da parte di Israele, mentre la parte araba sembrava che facesse un favore a Israele concedendogli la pace. Quando si adotta una formula diplomatica che implica sentimenti – vale a dire elementi come la “colpa” o il” concedere favori” – la cosa va inevitabilmente a finir male. È necessaria, invece, una nuova formula che sia fondata su interessi sostanziali destinati a durare.
La mancanza di equilibrio fra le due parti dell’equazione avrebbe dovuto suonare già da tempo un campanello d’allarme in Israele. Ora è venuto il momento di adottare una formula che sia basata sulla parità, come è normale fra nazioni del mondo, dove nessuna delle parti fa un favore all’altra: o terra in cambio di terra, o pace in cambio di pace. Paradossalmente i modelli equilibrati durano più a lungo proprio per via della parità: impossibile prendersi della terra senza che l’altra parte faccia lo stesso, e così si crea reciproca deterrenza. Allo stesso modo, minacciare la “pace” innesca una mossa parallela dall’altra parte: ad esempio, un declassamento delle relazioni diplomatiche. Parole in cambio di parole, terra in cambio di terra e interessi in cambio di interessi.
Le ondate di violenza nel mondo arabo e le minacce allo status quo, così come la sfida dell’Autorità Palestinese alla faccia di tutti gli accordi firmati con Israele, richiedono qui e ora nuove idee, senza le ingenue illusioni già franate in passato. Queste nuove idee andrebbero presentate al mondo come un aggiornamento della posizione israeliana basata su reciprocità, eguaglianza e rispetto reciproco.
Si presenta a Israele un’occasione d’oro per riesaminare la sua dottrina strategica nei confronti del mondo arabo, offrendo così un autentico contributo per una migliore gestione del conflitto con la parte araba, un conflitto che è durato troppo a lungo.

(Da: YnetNews, 1.9.11)

Nelle immagini in alto: Israele e il mondo arabo; il ritiro israeliano dal Sinai in applicazione degli accordi di pace con l’Egitto

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