“Terre palestinesi”? Bisognerebbe fare chiarezza

Obama inorridirebbe nel sentirsi dire da qualcuno che “gli Stati Uniti non possono occupare in modo permanente terre messicane”. Eppure…

Di Moshe Arens

Moshe Arens, autore di questo articolo

“Israele non può occupare terre palestinesi in modo permanente”, ha detto Barack Obama nel suo discorso del mese scorso alle Nazioni Unite. Per “terre palestinesi” intendeva presumibilmente le regioni di Giudea e Samaria (questi i nomi con cui sono state indicate per secoli, fino a una sessantina d’anni fa), vale a dire le terre che si trovano tra il fiume Giordano e le linee delineate da Israele e Giordania nell’aprile 1949 quando firmarono l’armistizio che fece seguito alla partecipazione della Giordania all’attacco congiunto degli stati arabi contro Israele del 1948. Forse si riferiva anche alla striscia di Gaza, sebbene questa regione (prima controllata dall’Egitto, poi da Israele) si trovi da undici anni sotto il dominio di Hamas, un’organizzazione terroristica palestinese, e non vi sia più alcuna presenza israeliana, né civile né militare.

Erano “terre palestinesi” quelle che la Giordania annesse dopo la firma dell’armistizio con Israele? All’epoca nessuno disse nulla del genere, né vennero mai indicate come tali durante i diciotto anni seguenti, quando la Giordania controllava quelle aree.

Sono improvvisamente diventate “terre palestinesi” solo dopo che la Giordania affiancò Egitto e Siria nella guerra contro Israele del 1967, trovandosi poi costretta a ritirarsi da quelle aree? Oppure erano sempre state “terre palestinesi”, ma la rivendicazione palestinese venne lasciata “in stato quiescente” fintanto che era la Giordania a controllarle, per riprendere miracolosamente vita solo dopo che l’esercito giordano sconfitto ne era stato scacciato?

Francobollo giordano del 1964 raffigurante la mappa del “Regno Hashemita di Giordania”. Come mai Giudea e Samaria divennero improvvisamente “terre palestinesi” solo dopo la loro conquista da parte di Israele?

C’è evidentemente qualcosa di poco chiaro nella titolarità palestinese attribuita a queste aree (ed esattamente a queste aree, come se la linea armistiziale del ’49 fosse incisa nel marmo dei secoli). Tanto più che molti palestinesi affermano apertamente che l’”occupazione” israeliana non si limita a Giudea e Samaria, ma include l’intero stato di Israele (per cui la fine dell’occupazione può solo coincidere con la fine di Israele). La rivendicazione palestinese è in evidente contraddizione con i termini del Mandato della Società delle Nazioni sulla Palestina del 1922 che riconosceva il legame storico tra popolo ebraico e la Palestina/Terra d’Israele, e prevedeva un prossimo insediamento di ebrei nel paese.

O forse il fatto che la popolazione che vive nelle aree a est delle ex-linee armistiziali del 1949 (cancellate dall’aggressione giordana del ’67) è a maggioranza arabo-palestinese è sufficiente per rivendicare titoli di sovranità su quelle terre, e pazienza se tale rivendicazione non venne mai avanzata durante tutti gli anni dell’occupazione giordana? In realtà, questa non è l’unica area del globo i cui titoli di sovranità sono in discussione. Obama probabilmente inorridirebbe nel sentirsi dire da qualcuno che “gli Stati Uniti non possono occupare in modo permanente terre messicane”. Eppure, sì, una buona parte degli Stati Uniti – California, Nevada, Utah, Arizona, Texas – è territorio conquistato durante la guerra messicano-statunitense del 1846-48, una guerra d’aggressione condotta all’insegna della dottrina del “destino manifesto”: il destino dell’America di estendere i propri possedimenti verso l’Oceano Pacifico. “Questa è la mia terra, dalla California a New York Island” avrebbe cantato cento anni più tardi Woody Guthrie, quando la guerra contro il Messico era stata da tempo dimenticata. Tranne forse dai messicani. Obama sa certamente che il suo luogo di nascita, le Hawaii, una volta erano una nazione indipendente che venne conquistata dagli Stati Uniti con un colpo di stato organizzato nel 1893 per poi diventare, più di sessant’anni dopo, nel 1959, il cinquantesimo stato dell’Unione. Chi è dunque l’”occupante”? [in Italia si potrebbe ricordare la conquista militare del Sud Tirolo/Alto Adige, all’epoca come oggi a maggioranza tedesca]. Non può essere che col tempo, in determinate circostanze, una “occupazione” conduca a un pacifico accomodamento, come è successo in California e alle Hawaii?

Lo stesso Obama era il comandante in capo di un esercito di occupazione quando ha ereditato l’occupazione americana in Iraq. Decise di tirarsene fuori, e al diavolo le conseguenze. Chi ha sanguinosamente pagato l’uscita degli americani dall’Iraq sono state le popolazioni in Iraq e nel resto della regione, non il popolo americano. Qualcuno suggerisce che Israele faccia la stessa cosa: andarsene dalla Cisgiordania (come se n’è andato da Gaza e dal Libano meridionale), porre fine alla famosa “occupazione” e al diavolo le conseguenze. Ma Israele non può andarsene da quelle terre come ha fatto l’America. Israele vive qui, e la prima vittima di un ritiro israeliano da Giudea e Samaria sarebbe la popolazione israeliana, le cui città e borgate verrebbero direttamente investite dai razzi e dalle infiltrazioni terroristiche. Anche per la popolazione palestinese le prospettive, dopo un tale ritiro, lasciano poco spazio all’ottimismo. L’opzione di andarsene che Obama ha potuto adottare in Iraq non è realisticamente adottabile da Israele. Ecco perché l’”occupazione” di quelle che Obama definisce “terre palestinesi” potrebbe durare ancora un po’.

(Da: Ha’aretz, 5.10.16)