Terrorismo islamista in Africa, dal Sahara alla Somalia
Sbaglia chi riduce le stragi nelle chiese a scusanti come la povertà e la criminalità comune.
Editoriale del Jerusalem Post
Il giorno di Natale diverse chiese cristiane sono state colpite da attentati dinamitardi in tre città, nel nord e nel centro della Nigeria. Nella chiesa cattolica di Santa Teresa, a Madalla, si ha notizia di 37 persone uccise.
L’impennata delle violenze anti-cristiane non è che l’ultima di una serie di aggressioni perpetrate dal gruppo terroristico Boko Haram negli ultimi due anni. È essenziale capire che questa ondata di attacchi in Nigeria non rappresenta un incidente isolato, e che fa parte di una più ampia tendenza del terrorismo islamista che si estende attraverso tutto il Sahara fino alla Somalia.
Boko Haram, un nome che può essere tradotto grossomodo con “l’insegnamento occidentale è vietato/peccato”, è stato fondato nel 2002 come una rete sociale volta ad imporre alla popolazione della Nigeria settentrionale uno stile di vita rigidamente islamico. Da allora, è cresciuto fra le popolazioni del nord di lingua Hausa; ma solo nel 2009 è assurto alle cronache quando si è trasformato in un gruppo islamista salafita ed è entrato in conflitto con le forze di sicurezza del paese. In quell’anno si rese responsabile di centinaia di uccisioni, soprattutto in attacchi contro stazioni di polizia. Nel 2011 i suoi membri hanno assassinato non meno di 450 persone.
Alcuni osservatori hanno messo in guardia dall’etichettare il gruppo come un’organizzazione terroristica. Il professor Jean Herskovits, del Purchase College della State University di New York, ad esempio, ha scritto sul New York Times che “delle bande criminali hanno adottato la denominazione di Boko Haram per rivendicare i loro attacchi. Era chiaro nel 2009, come lo è adesso, che le cause alla radice di rabbia e violenza, sia nel nord che nel sud della Nigeria, sono la povertà endemica e la disperazione”. Questo argomento si sovrappone alla frequente descrizione della violenza religiosa in Nigeria come originata da “dispute per le terre”.
Ricondurre le violenze religiose, compresi gli attentati dinamitardi alla chiese, a scusanti come la povertà, la criminalità comune o le dispute sulle terre è una forma di apologia che siamo abituati a sentire anche a proposito dei conflitti qui in Medio Oriente. Anche di Hezbollah, ad esempio, si dice spesso che in parte è un’impresa criminale e in parte un mini-stato assistenziale. Anche il conflitto israelo-palestinese può essere descritto nella sua essenza come niente più che una grande disputa per le terre. Ma per quanto queste affermazioni possano contenere del vero, esse non spiegano né giustificano il perverso uso della religione per motivare stragi terroristiche di civili.
Ciò a cui assistiamo, da una parte all’altra dell’Africa, è una connessione ben più profonda fra vari gruppi estremisti islamici come “al-Qaida nel Maghreb Islamico”, nel Sahara, i Boko Haram in Nigeria, l’Unione delle Corti Islamiche e al-Shabab in Somalia. Questo arco terroristico che attraversa tutta l’Africa rappresenta una minaccia alla stabilità dell’intera regione, e ha già portato alla devastazione di parte della Somalia.
Con l’instabilità in Libia e il procacciamento delle armi lasciatevi da quel conflitto, non c’è modo di sapere fin dove questi islamisti potrebbero arrivare a colpire nel prossimo futuro. Le tensioni che fermentano fra le tribù Tuareg che vivono in Mali, Niger e Algeria hanno consentito ad “al-Qaida nel Maghreb Islamico”, versione nordafricana della famigerata rete terroristica di Osama bin Laden, di operare impunemente.
Gli Stati Uniti sono consapevoli del problema e il loro Comando africano, guidato dal generale Carter Ham, ha fornito consulenze per l’addestramento delle forze di diversi paesi della regione. E alcuni anni fa il Congresso americano ha approvato uno stanziamento di 500 milioni di dollari in aiuti anti-terrorismo. È importante che questo impegno nella lotta ai gruppi estremisti in Africa, specialmente salafiti, dia risultati e che i risultanti vengano estesi. Sarebbe utile dare vita a un ampio programma continentale per combattere il fenomeno.
È anche indispensabile, però, che studiosi e commentatori comprendano che quello che sta accadendo non può essere attribuito esclusivamente a “povertà” e “criminalità”: ciò a cui stiamo assistendo è l’ininterrotta crescita del terrorismo e dei tentativi da parte dei gruppi di collegarsi fra loro. Con l’ascesa della Fratellanza Musulmana in Egitto e il successo elettorale del partito salafita egiziano al-Nour, è cruciale tenere alta la guardia rispetto ad altri gruppi ancora più estremi.
(Da: Jerusalem Post, 7.1.12)
Nella foto in alto: l’attentato di Natale alla chiesa di Santa Teresa, a Madalla (Nigeria)