Terroristi o combattenti per la libertà?

Rinunciare a ogni distinguo significa abbandonarsi all'ignavia, elevando la viltà morale a principio intellettuale

Editoriale del Jerusalem Post

"La jihad è l'unica soluzione per Israele". Combattenti per la libertà?

“La jihad è l’unica soluzione per Israele”. Combattenti per la libertà?

“Quello che è un terrorista per gli uni, è un combattente della libertà per gli altri”: ecco il classico cliché che ci si aspetta di sentir ripetere da un direttore della BBC o da un redattore della Reuters intenti a giustificare la scelta “stilistica” di sostituire sistematicamente il termine ” terrorista” con parole come “combattente” o “miliziano” (salvo dimenticarsene quando il terrorista colpisce direttamente a casa loro). Questa politica editoriale potrebbe anche essere relativamente scusabile come uno strumento per mettere al sicuro i giornalisti che operano in alcune parti del mondo dove i cosiddetti “combattenti per la libertà” sparano ai bambini, fanno saltare in aria autobus e treni, danno fuoco ai luoghi di culto e si dedicano a tutta una serie di altre nefandezze e atrocità. Ma non si mette in conto di registrare un tale annebbiamento dei distinguo morali da parte di un parlamentare eletto che parla degli attacchi terroristici diretti contro il suo paese. Ecco perché ha lasciato stupefatti sentire il parlamentare arabo-israeliano di Unione Sionista Zouheir Bahloul dichiarare che i palestinesi che attaccano soldati israeliani con l’intento di ucciderli non devono essere considerati terroristi. “Che altro può fare un palestinese soffocato sotto il giogo dell’occupazione da 49 anni, per riconquistare la sua libertà?” si è chiesto il parlamentare. E ha continuato: “Per lui i soldati sono il simbolo dell’occupazione. Prima del 1948, questo paese era governato dal Mandato Britannico. Etzel [Irgun], il Lehi [Banda Stern] e le altre organizzazioni ebraiche uscivano in strada per combattere i soldati britannici e costruire il vostro stupefacente stato. Perché i palestinesi non possono fare lo stesso?”.

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Certo, c’è qualche dissenso tra gli studiosi circa la definizione esatta di terrorismo. Molti dubitano che sia possibile arrivare ad una univoca definizione internazionale che non sia solo descrittiva, ma stabilisca dei parametri normativi per distinguere il terrorismo dalle forme legittime di ricorso alla violenza politica. Ma il fatto che non vi sia consenso sulla definizione di terrorismo non significa che sia sempre impossibile distinguere tra terroristi e combattenti per la libertà. Come ha notato Jonah Goldberg nel suo libro The Tyranny of Clichés: How Liberals Cheat in the War of Ideas (“La tirannia dei luoghi comuni. Come i liberali imbrogliano nella guerra delle idee”), sostenere sempre che il terrorista degli uni è il combattente per la libertà degli altri significa adagiarsi in una fallace similitudine che confonde mezzi e fini, celebrando relativismo e ignavia etica ed elevando la viltà morale a principio intellettuale.

I palestinesi che usano la violenza per porre fine alla “occupazione” (quando oltretutto esistono chiare opzioni negoziali e diplomatiche, se solo le si volesse cogliere) sono terroristi perché si battono – e lo dichiarano – per negare a un altro popolo, gli ebrei, il diritto all’autodeterminazione, lottando per creare un ulteriore stato arabo che neghi i diritti umani fondamentali e l’uguaglianza ai non musulmani e alle donne e rifiuti la libertà di espressione e di religione. Hamas è un’organizzazione terroristica non solo perché prende sistematicamente di mira i civili, ma anche perché il suo obiettivo è distruggere uno stato riconosciuto a livello internazionale e creare al suo posto un califfato conforme alla legge islamica medievale. Pertanto, quando Hamas e i sedicenti “combattenti per la libertà” palestinesi attaccano soldati israeliani fanno del puro e semplice terrorismo.

Combattenti per la libertà?

Combattenti per la libertà?

Al contrario, gli ebrei che combattevano contro il Mandato Britannico non erano terroristi perché cercavano di creare una patria nazionale democratica per il popolo ebraico che avrebbe incorporato una importante minoranza araba, accanto a uno stato arabo-palestinese (come previsto dalla risoluzione dell’Onu accettata da parte ebraica, ma rifiutata da parte araba). Lo stato per cui combattevano avrebbe tutelato i diritti umani, ad esempio mettendo in condizione cittadini come Bahloul di essere eletti alla Knesset. A volte, organizzazioni come l’Irgun o la Banda Stern commisero atti di terrorismo contro i civili. Stiamo parlando di anni di assoluta disperazione, quando l’ebraismo europeo veniva annientato dal peggiore progetto di sterminio pianificato della storia umana e gli inglesi impedivano la fuga degli ebrei europei bloccandone l’ingresso nella Palestina Mandataria. Eppure, anche in quei frangenti gli atti terroristici vennero severamente condannati dalla grande maggioranza degli ebrei che vivevano sotto il Mandato Britannico.

Questo non vuol dire che Bahloul non abbia il diritto di esprimere la sua opinione. La libertà di espressione esiste proprio per questo. Ma il suo aberrante paragone fra il terrorismo palestinese odierno e la lotta degli ebrei prima della nascita dello stato d’Israele deve essere respinto e confutato: questo probabilmente non servirà a convincere né lui né quelli che la pensano come lui, ma aiuterà a chiarire – almeno a noi stessi – alcuni fondamentali distinguo tra terroristi e combattenti per la libertà.

(Da: Jerusalem Post, 11.4.16)