Time Out per il terrorismo?

Hamas userà la tregua per diventare un altro Hezbollah?

Di Ehud Yaari

image_574Che lo si chiami hudna o con qualunque altro nome, il cessate il fuoco fra Israele e Autorità Palestinese merita tutta l’approvazione. Porre fine al bagno di sangue che dura da cinquantadue mesi è senza dubbio un importante successo, e va dato atto a Mahmoud Abbas (Abu Mazen) d’aver trovato la forza di cambiare strada rispetto a quella del suo predecessore, come aveva promesso in campagna elettorale.
Dopo un po’ di ondeggiamenti nei primi giorni da ra’is dell’Autorità Palestinese, Abu Mazen ha dimostrato determinazione e perseveranza, e tutt’a un tratto è diventato chiaro – anche a coloro che non l’avevano capito prima – che in effetti non era altri che Yasser Arafat colui che impediva la fine delle violenze. Le forze di sicurezza palestinesi, risorte come per incanto, si sono schierate lungo le linee dello scontro imponendo una netta diminuzione del volume di attacchi terroristici di qualunque tipo.
La domanda, adesso, è: quale sarà la natura di questa tregua, posto che riesca a stabilizzarsi? Quale sarà la sua struttura politica? Siamo di fronte a una hudna che riflette l’autentica consapevolezza che la campagna terroristica si è ritorta in un completo fallimento? Oppure si rivelerà semplicemente come un’occasione per le fazioni armate di sfruttare la tregua per acquisire vantaggi, cosa per cui Hamas e i pari suoi premono ostinatamente?
Tre sono i vantaggi principali che queste fazioni sperano di acquisire durante la hudna.
1) Un time-out di durata imprecisata, durante il quale potersi riprendere e riorganizzare dopo i colpi subiti da parte delle forze armate e dei servizi di sicurezza israeliani. L’obiettivo principale sarà quello di dotarsi di missili potenziati, capaci di raggiungere città come Ashkelon.
2) Partecipare al processo decisionale dell’Autorità Palestinese in modo tale da legare in una certa misura le mani di Abu Mazen. Ciò avverrebbe in primo luogo all’interno di un quadro dirigente in cui Hamas e suoi accoliti siederebbero insieme agli uomini di Abu Mazen, tenendo d’occhio i negoziati con Israele; in secondo luogo attraverso le elezioni per il Consiglio Legislativo Palestinese fissate per il prossimo 17 luglio le quali, grazie a un previsto cambiamento della legge elettorale, vedranno entrare nel parlamento palestinese una rappresentanza di queste fazioni significativamente aumentata. La netta vittoria di Hamas all’ultima tornata di elezioni municipali nella striscia di Gaza mostra bene le dimensioni di questo rischio.
3) Immunità rispetto agli attacchi di Israele e legittimazione di un movimento di “resistenza” all’interno dell’Autorità Palestinese, grazie all’impegno di Sharon di sospendere le operazioni e alla promessa di Abu Mazen che eviterà di procedere al disarmo di Hamas.
C’è il rischio che, insieme a questi vantaggi immediati che le fazioni armate si aspettano di ottenere dal cessate il fuoco, sul lungo termine finisca anche con l’emergere una sorta di intesa per la coabitazione fra l’Autorità Palestinese e la non-santa alleanza delle bande terroristiche. In base a tale intesa, il cessate il fuoco comporterebbe, sebbene implicitamente, l’accettazione da parte di Israele dell’esistenza di gruppi armati al di fuori del legale apparato di sicurezza dell’Autorità Palestinese. Queste forze avrebbero obiettivi e priorità diversi da quelli di Abu Mazen, uniti alla capacità di perseguire una loro strategia militare indipendente.
Il che significherebbe la riproduzione del modello libanese, dove Hezbollah esiste e opera accanto al governo legittimo come un movimento armato, equipaggiato con migliaia di razzi a lunga gittata. Esattamente come nello scenario che Hamas spera di realizzare, Hezbollah è rappresentato nel parlamento di Beirut e partecipa a tutte le elezioni, pur perseguendo una sua politica indipendente lungo il confine con Israele, compreso l’innesco di incidenti senza bisogno di alcuna approvazione da parte del governo centrale.
Diventare la versione palestinese di Hezbollah è esattamente ciò a cui punta Khaled Mashal, il capo dell’ufficio politico di Hamas che vive a Damasco. Come il movimento jihadista libanese di Hassan Nasrallah, anche Hamas cercherebbe di evitare scontri con le autorità locali, adattando le proprie operazioni alla sensibilità del governo in carica. Ma ogni volta lo ritenesse necessario, quando mutate circostanze lo richiedessero, sarebbe sempre pronto ad aprire il fuoco e lanciare attacchi. Hamas, come Hezbollah, vuole riservarsi il diritto di decidere quando questa o quella azione israeliana merita una reazione violenta.
Al momento Israele non può fare altro che mostrare comprensione per la riluttanza di Abu Mazen a contrapporsi frontalmente alle organizzazioni armate. Ma questo non significa che il primo ministro Sharon possa accettare un meccanismo che preservi la forza terroristica di Hamas concedendole al contempo un ruolo nel processo decisionale. Allo scopo di scongiurare i pericoli insiti in un tale meccanismo, è essenziale riuscire a ottenere appoggio internazionale per una posizione secondo cui la hudna è solo un passo verso la rimozione della minaccia terroristica, e non uno strumento per rafforzarla. Giacché, se questo non è messo bene in chiaro, Hamas e i suoi satelliti conserveranno tutto il potere di decidere se e quando parrà loro utile lanciare la terza intifada.

(Da: The Jerusalem Report, 21.02.05)