Tornare all’opzione giordana

La soluzione “due stati” può funzionare solo col concreto contributo di Giordania ed Egitto

Di Michael Bar-Zohar

image_2496Parlando recentemente in Turchia, il presidente americano Barack Obama ha ribadito il proprio impegno per la soluzione “due popoli-due stati” per il conflitto israelo-palestinese. Come lui, molti altri leader e politici mondiali, e israeliani, continuano a ripetere la formula “due popoli-due stati” come se fosse una formula magica. Viene da chiedersi se tutti coloro che ripetono meccanicamente questo mantra capiscono anche che cosa significhi. Nel suo discorso in Turchia Obama ha detto che Israele dovrebbe cercare di vedere il problema con gli occhi dei palestinesi. È ciò che dovrebbe fare anche lui: se avesse tentato davvero di capire le difficoltà dei palestinese, avrebbe cercato di proporre una soluzione differente.
L’area totale della Cisgiordania è meno di 6.000 kmq (non molto di più del Molise). Di questo territorio, il deserto di Giudea occupa più di un terzo. C’è qualcuno che crede veramente che tale minuscolo territorio inframmezzato tra Israele e Giordania possa offrire abbastanza spazio per la vita dei 2,4 milioni di palestinesi che vi abitano più i milioni di “profughi” che farebbero ritorno nella loro patria? Vi sono poi 1,5 milioni di palestinesi che vivono nella striscia di Gaza su un territorio di 360 kmq. Chi vuole offrire loro una chance decente di vita dovrà mettere in conto di trasferirne la maggior parte in altre parti della Palestina, e cioè in Cisgiordania. Potrà la Cisgiordania assorbire un altro milione di palestinesi sul suo povero e arido territorio?
Già si possono immaginare masse di palestinesi poveri che guardano al di là dal confine al fiorente stato d’Israele, o che vi si recano per fare lavori manuali e vedono città, grattacieli, auto scintillanti, e tycoon dell’hi-tech, e investitori che vi affluiscono da tutto il mondo. Non sarebbero amareggiati e frustrati? Non darebbero ancora più ascolto alle prediche incendiarie piene di odio e di vendetta dei leader estremisti, che accusano Israele di aver rubato la loro terra? Non sarebbero ancora più inclini a scegliere una volta per tutte la via del terrorismo e della violenza? I sostenitori della soluzione “due popoli-due stati” senza se e senza ma sembrano decisi a dare ai palestinesi uno stato che non sarebbe in grado di sostenersi economicamente.
Non basta. Tutti convengono che lo stato palestinese dovrebbe essere per sempre smilitarizzato e privato della facoltà di stringere accordi militari con altri paesi musulmani. Dunque sin dall’inizio lo stato palestinese sarà caratterizzato da una forma di sovranità limitata. Ai palestinesi verrebbe negato il simbolo stesso dell’indipendenza: il diritto di avere un proprio esercito. Il che si tradurrebbe in un’ulteriore fonte di frustrazione, e i giovani palestinesi ne sarebbero profondamente feriti nel loro orgoglio. I leader palestinesi moderati che cercassero di ragionare con la loro gente si troverebbero sopraffatti dai leader estremisti che predicano la violenza.
Non c’è dunque soluzione alle tribolazioni palestinesi? C’è n’è una, ma deve andare al di là dell’approccio semplicistico “due popoli-due stati”. Deve essere una soluzione regionale che includa perlomeno la Giordania, meglio ancora Giordania ed Egitto. Il nocciolo di tale soluzione è un piano che alcuni in Israele chiamano “l’opzione giordana” e si fonda sull’idea di una federazione giordano-palestinese.
Lo stato palestinese dovrebbe entrare a far parte di una federazione con la Giordania. La Giordania è un paese in gran parte disabitato che possiede vaste estensioni di terra dove l’eccesso di popolazione di Cisgiordania e Gaza e dei profughi (e lori discendenti) in arrivo avrebbero la possibilità di creare nuove città e villaggi e trovare respiro. La maggior parte dei cittadini giordani è già composta da palestinesi. Un palestinese di Cisgiordania che volesse servire nell’esercito del proprio paese non avrebbe che da attraversare il fiume Giordano (molto più ricco di storia che di acqua) e farsi soldato nell’esercito della federazione. Così i giovani palestinesi si sentirebbero parte di una nazione sovrana e non impotenti marionette in balia degli stati ostili circostanti.
Accetterà la Giordania di entrare in una federazione con la Cisgiordania? Re Hussein desiderava ardentemente di riguadagnare il controllo sulla Cisgiordania. Suo figlio, re Abdullah II, dovrebbe seguirne le orme: non riguadagnando il controllo, ma dando vita a uno stato federale. Dovrebbe capire che se non lo fa, i palestinesi possono diventare una seria minaccia per il suo regno. Se i palestinesi non riusciranno a strappare altre concessioni da Israele, che è forte e stabile, potrebbero cercare di riversarsi nel ben più debole stato di Giordania e prendersi con la forza ciò non riescono a ottenere col negoziato: un ruolo diretto nella vita e nel governo della Giordania.
Bisogna anche fare i conti con la dolorosa questione di Gaza. Se gli architetti della pace non potranno o non vorranno evacuate la maggioranza dei residenti di Gaza verso Cisgiordania e Giordania, dovranno offrire loro altra terra da abitare e sviluppare. Quella terra esiste: sono gli spazi vuoti del Sinai settentrionale, tra Rafah ed El-Arish. È terra che appartiene all’Egitto, il quale rifiuta recisamente di cedere anche un solo centimetro del proprio territorio ai palestinesi. Ma se l’Egitto vorrà evitare una conflagrazione ai propri confini, dovrà offrire ai residenti di Gaza una soluzione migliore che non sia l’eterno confinamento nei loro compi squallidi e sovraffollati.
Da tutto ciò si deduce che quella dei “due stati” diventerà una vera soluzione soltanto il giorno in cui Giordania ed Egitto faranno concretamente la loro parte nello sforzo per dare vita a una vitale nazione palestinese che non sia destinata a soffocare nella formicolante striscia di Gaza e nella insufficiente Cisgiordania.
Anche Israele dovrebbe fare la propria parte in questo sforzo: abbandonando la maggior parte della Cisgiordania, mantenendone solo piccole porzioni vitali per la sua sicurezza, e compensando i palestinesi con concessioni territoriali equivalenti.
Il resto del mondo dovrebbe partecipare all’impresa aiutando a costruire l’economia palestinese e assicurando la sopravvivenza della nuova federazione.

(Da: Jerusalem Post, 13.05.09)

Nella foto in alto: Michael Bar-Zohar, autore di questo articolo