Torti e diritti umani

Prof. Falk, se vuole aiutare Gaza, la smetta di infangare Israele e inizi a rivolgersi a Hamas

Da un editoriale del Jerusalem Post

image_2342Richard Falk, professore emerito di diritto e propugnatore di un “nuovo diritto internazionale”, è un attivista studioso 78enne dai capelli bianchi e dai modi cortesi che, si direbbe, soppesa con cura le sue parole prima di scagliare bombe retoriche.
Negli ultimi anni Falk, di famiglia ebrea assimilata, ha sviluppato un notevole interesse per le cose ebraiche, compreso lo sterminio dell’ebraismo europeo. Le sue riflessioni lo hanno portato a concludere che Israele oggi sta precipitando verso un nuovo Olocausto: questa volta però sarebbero gli ebrei a togliersi il gusto di fare un genocidio. Si domanda Falk: “E’ un’irresponsabile esagerazione associare il trattamento dei palestinesi a una serie di criminali atrocità collettive naziste?”. E si risponde: “Penso di no”.
Guardando Israele, Falk vede un “Olocausto in fieri” e uno Stato con “tendenze genocide”. Ciò nondimeno, quando venne nominato Special Rapporteur per i Territori Palestinesi Occupati dal Consiglio impropriamente chiamato per i Diritti Umani, il professore promise che sarebbe stato di larghe vedute. Forse le stesse larghe vedute lo hanno portato a domandarsi se il governo degli Stati Uniti non fosse complice negli attentati dell’11 settembre.
Mercoledì scorso, proprio nel momento in cui un’ennesima salve di razzi e granate di Hamas colpiva il territorio israeliano il giorno dopo che Israele aveva permesso all’ennesimo convoglio di camion di aiuti umanitari di portare cibo, carburante e medicine all’interno della striscia di Gaza, Falk espose la sua valutazione della situazione: la politica israeliana verso gli arabi palestinesi di Gaza equivale a un crimine contro l’umanità, e la Corte di Giustizia Internazionale dell’Aja deve stabilire “se i leader civili e i comandanti militari israeliani responsabili dell’assedio di Gaza debbano essere incriminati e perseguiti per violazione del diritto penale internazionale”.
Falk paragonava il comportamento di Israele verso i palestinesi – pensa un po’ – all’apartheid, denunciando il fatto che il cibo e il carburante incanalato da Israele a Gaza – negli intervalli, aggiungiamo noi, tra una raffica di Qassam e l’altra – non sono affatto sufficienti per impedire fame e malattie di massa.
Nel frattempo il Consiglio consegnava a Israele un centinaio di richieste per conto dei palestinesi, senza peraltro avanzare una sola richiesta ai palestinesi, nemmeno quella di cessare le violenze. Poi non c’è da stupirsi se il 64% degli israeliani confessa in un sondaggio la sensazione che gli organismi per i diritti umani siano pregiudizialmente ostili a Israele.
Tentare di ragionare con persone che pensano che Israele sia uno Stato genocida e da apartheid è come tentare di convincere un tizio che si presenta in ufficio avvolto in fogli d’alluminio da capo a piedi che, ehm, in effetti non è vero che gli alieni vogliono bombardare con onde radio il suo cervello. Pur consapevoli di questo, cerchiamo ugualmente di ribadire qualche ovvietà.
Israele cerca di difendersi da Gaza. Abbiamo unilateralmente ritirato i nostri civili e i nostri soldati dalla striscia di Gaza nell’estate 2005. Anziché usare la nostra partenza per iniziare a costruire uno stato palestinese, Hamas ha giurato di continuare la “resistenza” e di non accettare mai uno stato ebraico in Medio Oriente. Tale intransigenza ha in effetti consolidato la popolarità di Hamas fra gli abitanti di Gaza. Nelle scorse tre settimane da questo Hamastan sono stati lanciati 170 razzi e proiettili di mortaio sui centri abitati israeliani. I nostri bambini e i nostri vecchi vivono nell’angoscia. Due settimane fa a un ragazzo si è dovuta amputare una gamba devastata dalle schegge di un Qassam palestinese. Ogni santo giorno forze di Hamas addestrate dall’Iran piazzano ordigni lungo il nostro confine e scavano tunnel verso il nostro territorio in vista del loro prossimo attentato. Due anni e mezzo fa hanno sequestrato il soldato Gilad Schalit, in servizio su territorio israeliano, e lo tengono tuttora in ostaggio (rifiutandosi di farlo vedere anche solo alla Croce Rossa).
Nessuno dice che la vita nella striscia di Gaza sia facile, ma la maggior parte delle sue disgrazie se le procura da sé. In un periodo in cui le popolazioni dello Zimbabwe e del Congo patiscono una autentica “catastrofe umanitaria” non è un po’ indecente parlare di Gaza negli stessi termini? Mentre quasi due miliardi di persone muoiono letteralmente di fame in Asia e in Africa, non è un tantino esagerato parlare di “fame di massa” a Gaza?
Professor Falk, se vuole davvero aiutare la gente di Gaza, la smetta di infangare Israele e inizi a chiedere a Hamas di piantarla di sparare e di restituire la striscia di Gaza ad Abu Mazen e all’Autorità Palestinese.

(Da: Jerusalem Post, 11.12.08)

Nella foto in alto: Richard Falk