Tra la democrazia a il caos

Quale sarebbe la condizione dei palestinesi se dovesse realizzarsi l'obiettivo di uno stato palestinese in Cisgiordania e Gaza?

Di Moshe Arens

Moshe Arens, autore di questo articolo

Moshe Arens, autore di questo articolo

Meno di cento anni dopo essere stati inventati dai signori Mark Sykes e François Georges Picot, gli stati siriano e iracheno stanno progressivamente scomparendo dalla lista delle nazioni. I palestinesi, come entità nazionale, sono una creazione assai più recente: la loro origine risale alla fondazione dell’Olp (Organizzazione per la Liberazione della Palestina) nel 1964. Gli arabi che vivevano nel territorio della “Palestina occidentale” (ad ovest del fiume Giordano), destinato dal Mandato della Società delle Nazioni alla creazione di un “focolare nazionale” per il popolo ebraico, per molti anni si sono considerati, e sono stati considerati dal resto del mondo, semplicemente come appartenenti alla nazione araba. Negli ultimi cinquant’anni, invece, sono stati generalmente riconosciuti come membri della nazione palestinese.

A differenza di siriani e iracheni, al momento i palestinesi in quanto nazione sono vivi e vegeti  e chiedono il diritto di istituire un loro stato, uno stato palestinese, e di avere un seggio alle Nazioni Unite, una prerogativa tuttora riconosciuta a siriani e iracheni, anche se probabilmente non per molto ancora.

Dunque, come se la sono cavata i palestinesi rispetto ai loro cugini arabi siriani e iracheni? Anche se i loro rappresentanti protestano che ai palestinesi viene negata l’autodeterminazione che considerano loro diritto, e che sono oppressi e sotto occupazione, in realtà hanno ben poco da invidiare ai loro cugini in Siria e in Iraq dove oggi rotolano le teste in senso letterale, e dove a centinaia vengono massacrati ogni giorno e a centinaia di migliaia devono darsi alla fuga per aver salva la vita.

«I palestinesi che vivono in Israele possono avere motivi per lamentarsi, ma di sicuro non invidiano gli arabi che vivono nei 22 paesi arabi, e certamente non quelli che hanno la sventura di vivere in Siria e in Iraq»

La condizione dei palestinesi dipende da dove si trovano. I palestinesi che vivono in Israele, cittadini di uno stato democratico governato dai principi dello stato di diritto, possono avere motivi per lamentarsi, e possono piangere la “catastrofe” che sostengono si abbatté su di loro per mano degli ebrei 66 anni fa, ma di sicuro non hanno da invidiare gli arabi che vivono in uno qualsiasi dei 22 paesi arabi, e certamente non quelli che hanno la sventura di vivere in Siria e in Iraq. Può persino darsi che alcuni di loro ammettano – dentro di sé – che la “catastrofe” non fu poi così catastrofica, e che in ogni caso fu causata dagli stessi arabi e palestinesi.

I palestinesi residenti in Giudea e Samaria (Cisgiordania), che vivono sotto “occupazione” israeliana, che incappano nei posti di blocco quando si spostano per il paese e che sanno – dentro di sé – che questi impedimenti sono il frutto diretto dell’ondata di terrorismo palestinese scatenata alcuni anni fa contro la popolazione civile ebraica (prima infatti non c’erano), molto probabilmente non invidiano i loro cugini arabi in Iraq e Siria, e certamente non sarebbero disposti a scambiarsi di posto con loro. Preferirebbero forse un governo di Hamas rispetto all’”occupazione” israeliana, facendo cambio di posto con i loro fratelli della striscia di Gaza? Molto improbabile. Più probabile, invece, che invidino i vantaggi di cui godono i loro fratelli palestinesi residenti dentro Israele, al di là delle ex-linee armistiziali del ’49, e se fosse data loro la possibilità di scegliere potrebbero persino decidere di unirsi a loro.

I palestinesi che vivono a Gerusalemme est in effetti questa possibilità ce l’hanno: possono optare per la cittadinanza israeliana, e alcuni di loro lo fanno. Gli altri, per il solo fatto di avere la residenza a Gerusalemme, hanno comunque diritto a molti dei servizi sociali e sanitari a disposizione dei cittadini israeliani. Messi di fronte alla la scelta se rimanere sotto sovranità israeliana o passare sotto l’amministrazione di uno stato palestinese, stando ai sondaggi preferirebbero in grande maggioranza continuare a stare in Israele.

I peggio messi sono i palestinesi che vivono nella striscia di Gaza. Benché nominalmente vivano sotto sovranità palestinese, in realtà patiscono sotto l’inclemente dominio di Hamas, che è un’organizzazione terroristica, e subiscono le devastazioni della belligeranza Hamas-Israele ogni volta che Hamas decide di bersagliare coi razzi città e villaggi israeliani. Devono avere la netta sensazione che i loro fratelli in Giudea e Samaria stiano assai meglio di loro.

Quale sarebbe la condizione dei palestinesi se dovesse realizzarsi l’obiettivo di uno stato palestinese in Giudea, Samaria e striscia di Gaza? Sarebbe uno stato democratico governato dai principi dello stato di diritto o sprofonderebbe in poco tempo nella violenza settaria e tribale, in uno stato di anarchia come quello che ha caratterizzato Siria e Iraq in questi ultimi anni? Se quello è il loro futuro, in effetti i palestinesi non hanno motivo d’aver fretta d’arrivarci.

(Da: Ha’aretz, 16.9.14)