Trent’anni fa, il giorno che cambiò per sempre le guerre d’Israele

Quella volta non ci furono battaglie di carri armati ma missili contro i centri abitati. Da allora ogni guerra che ha coinvolto Israele ha seguito lo stesso schema: razzi, missili e bombe contro i civili israeliani

Di Herb Keinon

Herb Keinon, autore di questo articolo

Trent’anni fa, il 17 gennaio 1991, l’allora ambasciatore israeliano negli Stati Uniti Zalman Shoval teneva una conferenza stampa presso l’ambasciata israeliana a Washington dove annunciava, con toni cupi, che lo stato ebraico era sotto attacco. “Questa sera, ora di Washington, c’è stato un attacco non provocato da parte dell’Iraq che ha lanciato missili Scud, o forse missili Scud potenziati, contro obiettivi puramente civili”, disse Shoval.

Poche ore dopo che gli Stati Uniti e la coalizione internazionale avevano lanciato l’operazione Desert Storm per cacciare l’Iraq di Saddam Hussein dal Kuwait che aveva invaso cinque mesi prima, Saddam – tenendo fede alle proprie minacce – aveva risposto all’attacco militare lanciando missili contro Israele (che non faceva parte della coalizione internazionale ndr). In altre parole, il 16 gennaio il presidente americano George H.W. Bush aveva attaccato l’Iraq per liberare il Kuwait e la risposta dell’Iraq era stata lanciare, la notte successiva, otto missili Scud su Haifa e Tel Aviv.

Nessuno rimase direttamente ucciso da quegli otto missili. Nelle successive cinque settimane – che videro altri 31 missili sparati dall’Iraq contro il fronte interno israeliano, mentre tutto il paese resisteva acquattato nelle “stanze protette”, con le maschere antigas sul volto e le finestre sigillate con nastro adesivo – tre israeliani rimasero uccisi direttamente dai missili. Più difficile il bilancio delle vittime indirette attribuite a quegli attacchi: il numero delle persone decedute per attacchi di cuore o per l’uso scorretto delle maschere antigas e dell’atropina (distribuita alla nazione nel caso in cui i missili fossero caricati con qualche tipo di agente chimico o biologico) varia da poco più di una decina, secondo alcune fonti, fino a più di 70 secondo altre.

Gennaio 1991: abitazioni del quartiere Ezra di Tel Aviv sud colpite da un attacco di missili Scud iracheni

Quell’aggressione segnò la prima volta dopo la guerra del 1948 in cui le città israeliane vennero direttamente investite da un attacco nemico. Quei missili Scud non solo traumatizzarono la nazione, facendo sentire estremamente vulnerabili tutti i suoi cittadini indipendentemente da quanto lontano dal fronte si trovassero. Quegli Scud cambiarono anche per sempre le guerre che coinvolgono Israele in Medio Oriente. A quel tempo, purtroppo, gli israeliani avevano già un’annosa familiarità con la guerra. Fino ad allora avevano già dovuto combattere cinque guerre in piena regola, più una sanguinosa guerra d’attrito. La gran parte delle battaglie di quelle guerre si era svolta al fronte, lungo confini relativamente distanti dai grandi centri abitati dalla popolazione civile. Erano state guerre caratterizzate da grandi battaglie di carri armati nel deserto del Sinai o sulle alture del Golan e combattimenti aerei nei cieli egiziani o siriani.

Ma questa guerra era diversa, perché qui non c’erano i nostri carri armati contro i loro in qualche pianura desertica. Qui c’erano i loro missili contro i nostri centri abitati, i loro razzi contro i nostri asili. E da allora, ogni guerra o conflitto di basso livello in cui Israele è stato coinvolto ha seguito lo stesso schema: razzi, missili e bombe nemiche contro i civili israeliani.

E’ il tipo di guerra che caratterizzò la seconda intifada lanciata nel settembre 2000: attentatori suicidi contro autobus, caffè e supermercati che falciarono la vita di 1.053 israeliani nell’arco di quattro anni. E’ il tipo di guerra che caratterizzò anche la guerra in Libano dell’estate 2006: Hezbollah lanciò quasi 4.000 razzi sui centri abitati d’Israele riuscendo a colpire fino a Haifa e Tiberiade, e uccidendo 49 civili. Ed è ancora questo il tipo di guerra a cui lo stato ebraico ha dovuto fare l’abitudine da quando si batte contro Hamas a Gaza: il lancio di migliaia di razzi su città e centri abitati israeliani, dall’adiacente Sderot fino a Beersheba, Netivot, Ashdod, Ashkelon e persino Tel Aviv. Tutti attacchi che non sono diretti a installazioni militari bensì, come disse Shoval nel 1991, contro obiettivi puramente civili. Il prototipo di tutto questo furono gli Scud di Saddam Hussein su Israele.

1991: una madre all’ospedale Shaare Zedek di Gerusalemme, con il suo neonato e la maschera antigas a portata di mano

Uno dei punti di forza d’Israele, anzi una delle chiavi della sua sopravvivenza, è sempre stata la spiccata capacità di imparare dai momenti difficili e dalle situazioni pesanti e di mettere in pratica quelle lezioni. La guerra del Golfo del 1991 pose i civili direttamente sulla linea del fuoco, cogliendo la popolazione civile completamente impreparata ad affrontare questo tipo di situazione. Ma gli Scud di Saddam, e la prospettiva da incubo che potessero essere carichi di armi chimiche o biologiche, costrinsero le Forze di Difesa e il governo israeliani a riadattarsi a una nuova realtà militare. Nel febbraio 1992 venne istituito il Comando Fronte Interno, responsabile della protezione civile. Nel 1993 furono varate leggi che richiedono la costruzione di stanze di sicurezza rinforzate in tutti i nuovi edifici pubblici e privati. I razzi lanciati a intermittenza da Gaza negli ultimi 15 anni hanno dimostrato che c’è ancora molto da fare per migliorare la protezione civile del paese. Ma la situazione oggi è molto migliore rispetto al 1991, quando ciò che proteggeva case e appartamenti dai missili iracheni era il nastro adesivo incollato alle finestre.

Cosa altrettanto e forse ancora più importante del Comando Fronte Interno, gli attacchi Scud della guerra del Golfo hanno fissato nella testa dei decisori del paese l’idea che fosse necessario trovare una soluzione ai razzi e missili schierati contro Israele, essendo semplicemente improponibile evacuare grandi centri abitati. Da quel momento in poi, gli sforzi per sviluppare un ombrello antimissile in grado di proteggere Israele da attacchi missilistici divennero una priorità assoluta e acquisirono slancio. Il progetto Arrow, che era stato avviato circa cinque anni prima nel quadro dell’iniziativa “Guerre stellari” di Ronald Regan, acquistò velocità e sostegni dopo la guerra del Golfo, e una delle ragioni fu che le batterie antimissile Patriot inviate dagli Stati Uniti si erano rivelate piuttosto inefficaci: Israele non poteva permettersi di rimanere scoperto di fronte a un futuro fuoco di fila missilistico.

Aiutato dai importanti finanziamenti americani, Israele decise di sviluppare un apparato di difesa antimissile a tre livelli: il sistema Hetz (o Arrow, freccia) per contrastare i missili balistici a lungo raggio che possono provenire da luoghi distanti come l’Iran; il sistema Kala David (o David’s Sling, fionda di David) per contrastare i missili a medio raggio come quelli lanciati dal Libano; e il sistema Kipat barzel (o Iron Dome, cupola di ferro) per intercettare missili e razzi a corto raggio come quelli che arrivano da Gaza. Questo ombrello non chiude ermeticamente il paese e alcuni razzi potrebbero sempre bucarlo, soprattutto se ne venissero lanciati migliaia contemporaneamente. Tuttavia il risultato tecnologico è enorme e dà al paese un certo respiro e spazio di manovra.

Questa conquista tecnologica e strategica ricevette un enorme impulso da quella notte di trent’anni anni fa, quando Saddam era convinto che sparando Scud su Israele avrebbe provocato un’automatica risposta da parte del paese ebraico, allora guidato dal primo ministro Yitzhak Shamir, cosa che avrebbe causato lo sfaldamento della coalizione guidata dagli Stati Uniti, che annoverava numerosi paesi arabi nemici giurati dello stato ebraico. Invece il governo Shamir non reagì, Israele tenne duro per 41 giorni senza rispondere ai missili di Saddam, e la coalizione internazionale resse fino alla cacciata di Saddam dal Kuwait. Ma i missili che Saddam aveva lanciato su Tel Aviv e Haifa hanno cambiato per sempre il volto della guerra per Israele.

(Da: Jerusalem Post, 18.1.21)