Trump ha smentito gli esperti sul Medio Oriente e ha messo Biden di fronte a una realtà nuova

La "dura realtà" predicata da John Kerry è durata poco. La squadra di Biden dovrà trovare un modo per rovesciare i paradigmi sia di Trump che di Obama se vorrà costruire sui successi di uno per promuovere gli obiettivi dell'altro

Di Anshel Pfeffer

Anshel Pfeffer, autore i questo articolo

Esiste un video del 2016 in cui si vede l’ex Segretario di stato americano John Kerry che interveniva al Saban Center del Brookings Institute, e che ora circola alla grande sui social network, soprattutto della destra. Vale la pena guardarlo e citarlo per intero:

John Kerry: «Non ci sarà una pace separata tra Israele e il mondo arabo. Voglio che questo sia molto chiaro a tutti voi. Ho sentito diversi eminenti politici in Israele affermare a volte: beh, ora il mondo arabo è in una posizione diversa, dobbiamo solo andargli incontro e possiamo lavorare su alcune cose con il mondo arabo, e [poi] tratteremo con i palestinesi. No, no, no e no. Posso dirvi che è stato ribadito anche nell’ultima settimana, quando ho parlato con leader della comunità araba. Non vi sarà progresso e pace separata con il mondo arabo senza il processo palestinese e la pace palestinese. Tutti devono capirlo. Questa è la dura realtà».

Perfetto. Ora smettetela di ridacchiare e chiedetevi seriamente: come mai Kerry sbagliò così clamorosamente? Poiché quattro anni fa, quando formulò la sua incauta previsione, non era affatto l’unico. In effetti, anche solo sei mesi fa nessuno si aspettava che entro la fine del 2020 Emirati Arabi Uniti, Bahrain, Sudan e Marocco avrebbero tutti pubblicamente annunciato l’intenzione di “normalizzare” i rapporti con Israele.

Ovviamente per i detrattori del presidente degli Stati Uniti Donald Trump e del primo ministro israeliano Benjamin Netanyahu è forte la tentazione di sminuire questi accordi e snobbarli come “saldi di fine stagione”. Tutt’a un tratto questi critici si sono ricordati che i capi arabi sono dei dittatori, come se i precedenti accordi mediorientali siano stati firmati con modelli esemplari di democrazia liberale. E poi, naturalmente, c’è il do ut des: la rimozione del Sudan dalla lista delle nazioni che sponsorizzano il terrorismo, il riconoscimento della rivendicazione del Marocco sul Sahara occidentale e armi americane in abbondanza per tutti. Ognuno ha un prezzo. Embè? Scambi e accordi, anche sulle armi, hanno sempre fatto parte di ogni accordo di pace in questa regione (e non solo). I vili interessi non cambiano il dato di fatto che la “dura realtà” predicata da Kerry non è durata molto a lungo.

La cravatta di un israeliano sbarcato all’aeroporto di Dubai

Le certezze di Kerry del 2016 si fondavano su una forma di ortodossia diplomatica priva di fantasia? In parte certamente sì. Ma quello che fece fu anche permettere alle priorità di politica estera della sua amministrazione di dettargli la visione della realtà. Barack Obama salì al potere nel 2008 con l’obiettivo di risolvere il conflitto israelo-palestinese, porre fine al dispiegamento di militari americani nella regione e ridurre le tensioni con l’Iran. Migliorare i rapporti fra Israele e i paesi arabi della regione semplicemente non era una priorità per la sua amministrazione. Semmai, quei rapporti erano visti come un impedimento alla realizzazione degli obiettivi che si era prefissato. Le relazioni diplomatiche con gli stati arabi venivano viste come un incentivo per spingere Israele a fare concessioni ai palestinesi, non come qualcosa che Israele avrebbe il diritto di ricevere senza pagare pegno. Inoltre, Obama non voleva che Israele e gli stati arabi del Golfo cooperassero troppo strettamente contro il loro comune nemico, l’Iran, perché ciò avrebbe potuto interferire con il suo impegno diplomatico verso Teheran. Può darsi che Kerry pensasse davvero che la pace tra Israele e arabi non potesse essere raggiunta senza risolvere il conflitto palestinese, ma sicuramente quella convinzione rispondeva anche alla politica sua e dell’amministrazione per cui operava.

Guardando a posteriori, non dovremmo sorprenderci più di tanto. Dopo quasi quattro anni di un’amministrazione che dava priorità agli interessi degli alleati dell’America (Israele, sauditi, Emirati), non mostrava alcun interesse per le proteste dei palestinesi e perseguiva una politica di “massima pressione” contro l’Iran, la “dura realtà” è radicalmente cambiata. E poi, non tutto ciò che accade in Medio Oriente è frutto della politica americana.

Ecco un’altra dura realtà. Tutti e quattro i governi che stanno normalizzando i rapporti con Israele preferivano, in precedenza, non portare alla luce del sole le loro relazioni segrete con lo stato ebraico. La decisione di farlo ora non è stata presa solo a causa degli incentivi di Trump. Il fatto è che tutti loro hanno calcolato, correttamente, che non vi sarebbero state pubbliche proteste né sanzioni da parte della Lega Araba. Il fatto che il Marocco sia andato avanti con il suo annuncio giovedì scorso, dopo che Trump ha perso le elezioni, dimostra che la sua leadership è convinta che la nuova realtà non è legata solo a un’amministrazione. Hanno ragione?

Joe Biden potrebbe decidere di annullare l’accordo per vendere i jet F-35 agli Emirati Arabi Uniti, potrebbe riportare il Sudan nella lista dei sostenitori del terrorismo e poterebbe annullare il riconoscimento della rivendicazione del Marocco sul Sahara occidentale. Ma se anche non facesse nulla di tutto questo, lui e il suo team di politica estera hanno comunque prospettato un qualificato  ritorno alle priorità di Obama: concentrarsi sull’impegno con l’Iran e i palestinesi. È improbabile che la sua squadra trascorrerà molto tempo nelle capitali arabe a cercare di mediare altri accordi di normalizzazione con Israele.

Ma non è nemmeno in programma un ritorno alla “dura realtà” di Kerry. Semmai, possiamo aspettarci di vedere Kerry tornare nella regione nel suo nuovo ruolo di inviato speciale per il problema del clima, e approfittare della nuova realtà per promuovere progetti ambientali congiunti arabo-israeliani. C’è da sperare che i suoi ospiti saranno abbastanza educati da non ricordargli quella sua infelice dichiarazione.

La domanda più grande è: in che modo la nuova amministrazione utilizzerà gli inaspettati risultati di Trump per promuovere le sue priorità, vecchie e nuove? Non sarà semplice. I quattro accordi di normalizzazione sono stati alimentati dalla comune inimicizia verso l’Iran e da una palese disistima per le posizioni dei palestinesi. La squadra di Biden dovrà trovare un modo per rovesciare i paradigmi di politica estera sia di Trump che di Obama, se vorrà costruire sui successi di uno per promuovere gli obiettivi dell’altro.

(Da: Ha’aretz, 14.12.20)