Tutto ciò che Israele può fare

Secondo la Corte Suprema, l’uccisione di un capo terrorista come Mughniyah è del tutto giustificata

Da un editoriale di Ha'aretz

image_2006Nel dicembre 2006 la Corte Suprema israeliana autorizzò l’utilizzo da parte della Difesa delle cosiddette uccisioni mirate come mezzo indispensabile nella guerra contro il terrorismo. Questa “licenza d’uccidere” veniva tuttavia vincolata a una serie di rigorose condizioni. Secondo la sentenza della Corte Suprema, infatti, le uccisioni mirate non devono mai essere attuate come forma di ritorsione o di punizione per atti terroristici compiuti nel passato (nel qual caso si configurerebbero come “esecuzioni extragiudiziali”), ma solo come strumento per impedire futuri atti di terrorismo (dunque come una forma di legittima difesa). La minaccia terroristica posta dall’individuo implicato deve essere “chiara ed evidente” e l’individuo deve essere coinvolto in una “attività continuativa”, vale a dire che non basta un suo coinvolgimento singolo o sporadico nelle attività terroristiche. La Corte Suprema vieta il ricorso all’uccisione mirata quando esiste la possibilità di arrestare l’individuo implicato senza mettere a repentaglio la vita dei soldati e quando l’uccisione stessa potrebbe causare danni sproporzionati a terzi incolpevoli.
Appare chiaro che un individuo come Imad Mughniyah rientrava perfettamente nelle norme fissate dalla Corte Suprema. Quando non c’è altra scelta, quando il terrorismo rivolto contro obiettivi occidentali, israeliani ed ebraici è folle e spietato e non può essere contenuto con gli strumenti diplomatici, nessuno finora ha saputo proporre un mezzo più ragionevole dell’uccisione mirata di coloro che hanno fatto di questo terrorismo la missione della loro vita.
L’argomento secondo cui il prezzo dell’uccisione di uno come Mughniyah potrebbe rivelarsi alto e costare vite umane in questo caso non tiene, giacché nessuno è in grado di dire quale sarebbe stato il costo in vite umane Mughniyah (che aveva già personalmente organizzato il massacro di diverse centinaia di innocenti) avesse continuato a vivere e operare. Non v’è alcun dubbio su quali fossero i piani futuri di un individuo che era considerato il principale stratega e capo delle operazioni terroristiche di Hezbollah.
Un comunicato diffuso da Hezbollah attraverso la sua emittente televisiva Al-Manar dice che Mughniyah è morto “come un martire, per mano dei sionisti, dopo una vita dedicata alla jihad”. Sotto molti aspetti la strada che aveva scelto rappresenta la direzione imboccata dal conflitto in Medio Oriente nel momento in cui continua a diminuire il numero di coloro che credono nella possibilità di una composizione pacifica. Più la lista dei “martiri” s’allunga, diventa multinazionale ed esce dai confini, più colpisce obiettivi slegati dal conflitto israelo-palestinese – anche se il conflitto viene citato praticamente in ogni attentato terroristico, dal Pakistan a Baghdad alla striscia di Gaza – e sembra che non vi sia via d’uscita.
Hezbollah non avrebbe alcun reale motivo di conflitto con Israele: la lotta contro il sionismo gli serve solo per rafforzare il suo potere nella lotta politica interna libanese. Anche l’Iran, che sostiene Hezbollah, non avrebbe alcun motivo di fare guerra a Israele se non per la funzione aggregante e mobilitante dell’odio contro tutto ciò che ha a che fare col sionismo e con l’America. Se si chiedesse ad Hassan Nasrallah di spiegare la sua guerra contro Israele in modo razionale, molto probabilmente non ci riuscirebbe. Nel caso di una guerra che non può essere fatta cessare da nessuna possibilità di compromesso, la sola opzione possibile è l’uso della forza.
Il fatto che un capo terrorista come Mughniyah sia stato ucciso nel centro di Damasco mostra quanto la Siria sia distante da qualunque dialogo o pace con Israele, e quanto sia inaffidabile il presidente Bashar Assad. Evidentemente Assad ha deciso che l’asse Iran-Siria-Corea del Nord e il sostegno al terrorismo in Libano e nella striscia di Gaza, attuato fra l’altro offendo copertura ai suoi capi, stanno in vetta al suo ordine di priorità.
Da questo punto di vista, la morte di Mughniyah probabilmente non basterà per porre fine alle violenze in questa regione, ma certamente offre una triste e realistica percezione di come queste violenze tenderanno a svilupparsi. Per il futuro prevedibile, a quanto pare, tutto ciò che Israele può fare è adoperarsi per contrastare e prevenire il terrorismo, parallelamente agli sforzi diplomatici nei colloqui di pace con coloro (tanti o pochi) che hanno abbandonato il terrorismo.

(Da: Ha’aretz, 15.02.08)