Tutto iniziò con quei musulmani che applaudivano l’uccisione di civili ebrei israeliani

Senza un criterio etico unico e condiviso, non potremo mai vincere la battaglia contro il terrorismo

Di Ali Al-Bukhaiti

Ali Al-Bukhaiti, scrittore e politico yemenita, autore di questo articolo

Il numero di attentati terroristici basati sulle fatwa di chierici musulmani è andato crescendo e la cerchia di coloro che vengono presi di mira si è ampliata fino a comprendere gli stessi musulmani. Gli attacchi suicidi approvati sul piano religioso sono iniziati in Palestina contro i civili ebrei israeliani grazie alle fatwa emesse da eminenti studiosi musulmani come lo sceicco Yusuf al-Qaradawi in Qatar, Muhammad Hussein Fadlallah in Libano e altri, sia sunniti che sciiti, sulla base del principio che noi musulmani siamo in stato di guerra contro Israele.

Lo stesso pretesto è stato usato per ampliare il raggio di questi attacchi ai paesi occidentali, in Europa e negli Stati Uniti. L’argomento era identico, cioè che questi paesi sono in stato di guerra con i musulmani: o direttamente come in Afghanistan, Iraq e Siria, o indirettamente con il loro sostegno allo stato d’Israele. L’epidemia ha poi raggiunto gli stessi paesi arabi e musulmani, prendendo di mira innanzitutto le minoranze, come i cristiani copti in Egitto e altri in Siria e Iraq.

La battaglia contro il terrorismo richiede un criterio unico, coerente e condiviso che proibisca di colpire deliberatamente civili innocenti, ovunque si trovino e qualunque sia la loro fede: musulmani, cristiani, ebrei, credenti di altre religioni e anche atei e non credenti. Senza questo criterio comune non potremo mai convincere nessuno che prendere di mira dei civili è intrinsecamente una vigliaccata e un crimine contro l’umanità. Coloro che emettono fatwa che autorizzano ad uccidere civili israeliani o americani, di fatto emettono fatwa che autorizzano di uccidere qualunque civile, anche quelli del mondo musulmano.

9 giugno 2016: palestinesi festeggiano l’attentato terroristico del giorno prima nel centro commerciale di Sarona, a Tel Aviv (4 morti, 20 feriti)

La logica è la stessa. Un assassino troverà sempre un pretesto o un’interpretazione che gli permetta di applicare la stessa argomentazione religiosa in qualunque parte della terra e contro qualunque civile innocente, indipendentemente da fede o etnia. Non è un’ipotesi astratta, è quello che avviene nei fatti. L’idea che ha permesso di prendere di mira innocenti civili israeliani ha premesso di prendere di mira anche le minoranze religiose in Iraq, Siria ed Egitto. E’ la stessa idea che ha portato a uccidere come infedeli i civili musulmani sciiti in Iraq e Arabia Saudita e zaydi nello Yemen. Ed è la stessa idea che legittima un terrorista a colpire persino i civili della sua stessa fede, se risulta necessario quando si trovano in prossimità di coloro che l’assassino considera infedeli. Ogni degenerazione genera ulteriori degenerazioni.

Coloro che si rallegrano e applaudono quando un attentatore suicida si fa esplodere su un autobus carico di studenti di Tel Aviv, al World Trade Center di New York o in una stazione ferroviaria di Londra o Parigi, non può poi piangere e lamentarsi quando subiscono attentati delle stesso tipo i civili alla Mecca, a Sana’a o al Cairo. La tutela della vita dei civili è un precetto inviolabile, indipendentemente da geografia, religione e conflitto politico. Se questo precetto viene annacquato o applicato in modo ineguale, non saremo mai in grado di sconfiggere il terrorismo. Il terrorismo arriverà ovunque e ne avrà per tutti.

Londra, 3 giugno 2017: 7 morti, 50 feriti

Quando è in questione l’uccisione deliberata di civili innocenti non c’è differenza tra la Mecca, Londra, Berlino, Parigi, Tel Aviv, Washington, il Cairo, Islamabad, Sana’a e le altre città del mondo. Se non applicheremo un criterio unico a tutti i civili del mondo, non riusciremo a combattere il terrorismo. L’azione contro il terrorismo che prende intenzionalmente di mira i civili deve iniziare da una seria presa di posizione contro tutti coloro che hanno emesso e continuano a emettere fatwa favorevoli all’uccisione di civili, non importa quali e dove. D’ora in poi devono essere considerati responsabili, a meno che non ritrattino le loro fatwa. Devono essere banditi, i loro movimenti devono essere limitati, devono essere impedite le loro apparizioni mediatiche, vietate la vendita e la circolazione dei loro testi, e deve essere penalizzato qualsiasi atto di sostegno o finanziamento ai loro “enti di beneficenza”. Non basta. Devono esistere leggi rigorose che prevedano che qualsiasi fatwa o giustificazione dell’uccisione di civili in qualunque luogo – anche dentro Israele – venga considerata un reato da punire. Anche i libri scolastici devono essere rivisti per eliminare fatwa e opinioni religiose che in qualunque modo giustifichino l’uccisione di civili.

Chiarezza, coraggio e trasparenza, unitamente al riconoscimento degli errori passati e alla salvaguardia di un unico criterio etico valido per tutti, sono il modo giusto per cominciare a contrastare l’estremismo che prende di mira i civili. Senza questo, rimarremo imprigionati in un circolo vizioso e il terrorismo arriverà a colpire tutti.

(Da: Times of Israel, 1.6.17)