Ucciso dagli Usa quello che la Guida Suprema iraniana Ali Khamenei ha definito “il volto internazionale della resistenza”

48 ore prima, i suoi miliziani avevano attaccato l’ambasciata americana a Baghdad scrivendo sui muri “Soleimani è il nostro capo”

Di Seth J. Frantzman

Seth J. Frantzman, autore di questo articolo

Hajj Qasem Soleimani, il “comandante ombra” delle operazioni militari e terroristiche iraniane all’estero, uno dei più pericolosi nemici di Israele, è stato ucciso in Iraq insieme al suo discepolo chiave Abu Mahdi al-Muhandis. Un attacco aereo vicino all’aeroporto internazionale di Baghdad ha colpito un convoglio di auto un paio di giorni dopo che i seguaci del comandante iraniano avevano preso d’assalto il complesso dell’ambasciata degli Stati Uniti in Iraq scrivendo sui muri “il nostro capo è Soleimani”. Il presidente degli Stati Uniti Donald Trump ha approvato l’attacco aereo. Il Pentagono ha confermato che gli Stati Uniti hanno ucciso il capo iraniano della Forza Quds, ricordando che l’Iran è responsabile dell’uccisione di almeno 608 soldati americani durante la guerra in Iraq.

E’ accaduto l’impensabile. È stato colpito l’uomo forte che stava dietro allo sforzo dell’Iran di imporre la propria egemonia militare e terroristica sulla regione, l’uomo che comandava la Forza Quds del Corpo delle Guardie Rivoluzionarie Islamiche.

Le prime notizie sono giunte dopo le quattro del mattino, ora irachena: un misterioso attacco aereo nei pressi dell’aeroporto aveva fatto parlare della sua improvvisa chiusura al traffico civile. Un criptico tweet del segretario alla difesa americano Mark Esper aveva preannunciato la scelta degli Stati Uniti di avviare attacchi preventivi contro i nemici iraniani o i loro gregari. “All’Iran e alle sue milizie per procura – aveva scritto Esper – Non accetteremo i continui attacchi contro il nostro personale e le nostre forze nella regione. Gli attacchi contro di noi riceveranno risposta nel momento, nei modi e nel luogo di nostra scelta. Esortiamo il regime iraniano a porre fine alle sue attività ostili”.

Ancora non si sa se gli Stati Uniti hanno agito da soli o chi altro possa aver contribuito all’attacco aereo. Si sa che negli giorni scorsi il segretario di stato americano Mike Pompeo aveva chiamato i leader del Medio Oriente per consolidare il sostegno e discutere la strategia. Ha chiamato il primo ministro israeliano Benjamin Netanyahu, il principe ereditario degli Emirati Arabi Uniti, Mohammed bin Zayed Al Nahyan, e il principe ereditario saudita Mohammed Bin Salman. Ha anche telefonato ai leader iracheni e del Qatar. E poi aveva messo in guardia lo stesso Muhandis e Qais Khazali, un capo della milizia sciita messo sotto accusa dagli Stati Uniti. Aveva avvertito anche i capi delle Unità di Mobilitazione Popolare sostenute dall’Iran, Hadi al-Amiri e Faleh al-Fayed.

Qasem Soleimani ripreso nel novembre 2017 mentre parlava a milizie iraniane ad Al-Bukamal, in Siria

Muhandis è considerato il diretto responsabile dell’attacco alle forze statunitensi dello scorso 27 dicembre che ha provocato la morte di un contractor americano. Ma era responsabile di attacchi contro gli americani sin dagli anni ’80. Muhandis, da sempre a capo del potente supporto iraniano alla rete di milizie nella regione al servizio di questa politica, aveva avuto un ruolo fondamentale nel sostenere Hezbollah e in passato aveva operato a stretto contatto con il capo terrorista di Hezbollah Imad Mughniyeh, ucciso nel 2008.

Difficile immaginare quale potrà essere la reazione dell’Iran, ma è probabile che il regime si sentirà in dovere di rispondere non solo a questo attacco, ma anche al precedente attacco americano del 29 dicembre che ha ucciso una ventina di membri di Kataib Hezbollah: quella serie di cinque attacchi aerei simultanei su basi filo-iraniane in Iraq e in Siria sembra ora passare in secondo piano, ma è stata importante perché aveva dimostrato che gli Stati Uniti avevano tutta l’intenzione di reagire con grande determinazione agli attacchi dell’Iran. Dal maggio 2019 l’Iran ha impresso un’escalation ai suoi attacchi. Ha attaccato non solo gli Stati Uniti, ma anche Israele, Arabia Saudita e petroliere nella regione. Ha abbattuto un drone americano e ha mandato gregari in Iraq a lanciare missili una dozzina di volte sulle basi statunitensi. Questi attacchi missilistici hanno preso di mira strutture chiave tra cui la Green Zone, Camp Taji, le basi Assad Balad e Qayarrah. L’Iran ha anche lanciato missili contro Israele a gennaio, settembre e novembre del 2019. A settembre ha attaccato la struttura iraniana di Abqaiq con uno sciame di droni. E ha mandato Kataib Hezbollah ad attaccare l’Arabia Saudita, a maggio, e a stabilire basi e reti di traffico di armi in tutto l’Iraq. In Siria, l’Iran ha costruito una nuova base chiamata Imam Ali al confine siriano con l’Iraq.

In breve: le attività dell’Iran nel 2019 sono state accelerate, finendo col rappresentare una minaccia crescente in Iraq, Siria, Libano e Yemen, e una minaccia lungo una line di fronte di 3000 miglia dal confine libanese con Israele fino al Golfo di Oman e allo Yemen. Soleimani giocava un ruolo fondamentale nella costruzione della minaccia iraniana lungo questa linea. Muhandis era l’ingegnere che ha contribuito a rafforzare il ruolo dell’Iran in Iraq e anche in Siria.

Soleimani era nato nel 1957. Muhandis nel 1954. Erano poco più che ventenni all’epoca della rivoluzione islamica khomeinista in Iran, e da allora la rivoluzione ha guidato le loro vite. Per loro, Stati Uniti e Israele erano i nemici assoluti. Consideravano se stessi “la resistenza”. Erano nemici anche dell’Arabia Saudita e di altri paesi. Il loro zelo era teso a rimuovere ogni presenza occidentale (o presunta tale) e a promuovere gli interessi dell’Iran e più in generale della comunità sciita allineata a Teheran. Negli anni ’80, Muhandis e quelli come lui promuovevano il terrorismo contro le strutture diplomatiche statunitensi dal Kuwait al Libano. Questo era il loro campo di attività. Ci è voluto un po’ di tempo, ma sono riusciti a creare potenti franchising come Hezbollah in Libano e Kataib Hezbollah in Iraq. Solo negli anni ’10 hanno ritenuto di poter finalmente realizzare i loro sogni. Sulla scia della “primavera araba” e del caos che si era scatenato, mobilitarono i loro uomini per affrontare la minaccia dell’Isis (sunnita) e colmare il vuoto con le loro basi e i loro miliziani. È così che Kataib Hezbollah dell’Iraq è arrivato in Siria insieme all’Hezbollah libanese.

Qasem Soleimani con i suoi miliziani nel deserto siriano

Ma è solo negli ultimi due anni che hanno creduto di veder realizzato il loro sogno di un Medio Oriente dominato dall’Iran. Erano arroganti, esattamente con quel genere di arroganza che attribuivano all’Occidente. Non più nell’ombra, quelli come Soleimani e Muhandis sono venuti allo scoperto. Si comportavano come capi di stato. Le loro milizie in Iraq, chiamate Unità di Mobilitazione Popolare, sembravano dominare non solo le forze armate, ma anche il parlamento. Controllavano il secondo partito più grande in Iraq e avevano reclutato fino a 300.000 uomini, per lo più giovani sciiti che volevano combattere l’Isis. Un gruppo più ristretto, all’interno delle Unità di Mobilitazione Popolare, era quello che contava di più. Hanno accumulato enormi munizioni e dall’agosto 2018 avevano trasportato missili balistici iraniani in Siria attraverso l’Iraq. In Siria hanno costruito tutta una rete di basi, dalla Imam Ali alle T-2 e T-4 e altre. Questa rete cercava di trasportare armi sofisticate a Hezbollah in Libano. Nell’aprile 2018 cercarono di importare anche sistemi di difesa anti-aerea, come il Khordad terzo. Israele, per tutelarsi da questa minaccia sempre più vicina ai suoi confini, ha effettuato centinaia di attacchi aerei contro il trinceramento iraniano in Siria.

Per Soleimani e Muhandis, fino a dicembre tutto andava bene, anche se gli avvertimenti americani andavano aumentando. Non credevano che gli Stati Uniti avrebbero davvero reagito in modo determinato, come minacciava Pompeo. Consideravano il presidente Donald Trump un isolazionista, l’opposto di un interventista. Continuavano a tirare la corda con gli Stati Uniti attraverso attacchi nel Golfo e contro l’Arabia Saudita, e poi direttamente contro le forze statunitensi. Washington ha detto d’aver subito da ottobre almeno undici attacchi contro proprie basi. Alla fine, dopo il letale attacco del 27 dicembre, gli americani hanno agito. Kataib Hezbollah ha risposto il 29 dicembre con l’aggressione all’ambasciata americana. In collaborazione con il comandante dell’Organizzazione Badr, Hadi al-Amiri, che ha un ruolo nelle Unità di Mobilitazione Popolare e nel parlamento, hanno varcato le soglie della Green Zone di Baghdad e membri della Unità di Mobilitazione Popolare in tenuta da combattimento hanno attaccato l’ambasciata scrivendo sui muri “Soleimani è il nostro capo”. Il messaggio era chiaro: è Soliemani che comanda a Baghdad e in Iraq.

Quarantotto ore dopo Soleimani e Muhandis venivano colpiti da un attacco aereo vicino all’aeroporto. È la fine che avrebbero dovuto aspettarsi degli uomini convinti che non ci sarebbe stata alcuna risposta alle loro crescenti minacce e provocazioni. Sarà un duro colpo per le loro reti e organizzazioni, come fu un duro colpo per Hezbollah l’uccisione del capo terrorista Mughniyeh. Ma sono reti che dispongono ancora di quadri e seguaci. Qais Khazali, Hassan Nasrallah, Hadi al-Amiri sono ancora attivi in Iraq e in Libano. Il Corpo delle Guardie Rivoluzionari Islamiche è guidato da persone potenti e ha sviluppato tecnologie per droni e missili. Ma intanto gli Stati Uniti hanno inviato un forte messaggio: l’uccisione di americani non sarà ignorata né tollerata.

(Da: Jerusalem Post, 3.1.20)