Un attentato era solo questione di tempo

L’Egitto si trova a fare i conti con il rompicapo palestinese

Da un articolo di Amos Harel e Avi Issacharoff

image_1994Nonostante la chiusura, domenica, del confine tra striscia di Gaza ed Egitto, era abbastanza chiaro che il prossimo attentato esplosivo o tentativo di sequestro da parte di un gruppo palestinese contro israeliani nel Sinai o nel sud di Israele era solo questione di tempo.
Dopo che quel confine è rimasto completamente aperto per dodici giorni, è difficile stimare la quantità di armi, munizioni ed esplosivi che sono stati fatti entrare a Gaza.
Hani e Rami Hamdan, i due fratelli di Gaza sorpresi con addosso cinture esplosive da forze egiziane sabato sera nel Sinai, quattro chilometri a ovest di Rafah, non stavano operando autonomamente. Il giorno prima le forze egiziane avevano arrestato quindici palestinesi nel Sinai, dodici dei quali erano membri di Hamas. La scorsa settimana, un’altra cellula di cinque palestinesi era stata fermata vicino al valico di Taba fra Egitto e Israele: anche loro erano in possesso di cinture esplosive da attentato suicida.
È ragionevole presumere che, nonostante gli egiziani abbiano interesse a cooperare con Israele nel prevenire attentati, vi siano cellule che sono riuscite ad aggirarli e a nascondersi nelle ampie distese del Sinai. In Egitto ritengono che queste cellule stiano preparando attentati nel Sinai stesso, ma è anche probabile che alcune di esse cercheranno di infiltrarsi in Israele lungo i 300 km del poroso confine tra Israele e Sinai.
Alcune cellule sono legate a Hamas, altre fanno parte di fazioni palestinesi minori. Quello che è chiaro è che l’Egitto oggi subisce la volontà dell’organizzazione islamista palestinese. Se Hamas lo vorrà, la frontiera di Rafah resterà chiusa. Se non lo vorrà, migliaia di palestinesi potranno precipitarsi di nuovo nel Sinai.
Ora il Cairo si trova a fronteggiare pressioni palestinesi in conflitto fra loro. Hamas chiede di predisporre un passaggio ordinato a Rafah. Se il Cairo rifiuterà, i miliziani di Hamas si incaricheranno di garantire che i palestinesi possano infiltrarsi nel Sinai, come hanno fatto anche domenica. Inoltre Hamas vuole dall’Egitto maggiori forniture di carburante ed elettricità, altra cosa che l’Egitto fa fatica a negare dal momento che l’organizzazione gode di sostegno pubblico all’interno dell’Egitto, dove viene vista come il ramo palestinese della Fratellanza Musulmana.
Se invece l’Egitto accetterà le richieste di Hamas, entrerà in conflitto con il presidente dell’Autorità Palestinese Mahmoud Abbas (Abu Mazen), contrario in questo momento a qualunque compromesso con il movimento islamista, e si esporrà a tensioni con gli Stati Uniti. Una cooperazione con Hamas nell’apertura del valico di Rafah significherebbe perpetuare il controllo di Hamas sulla striscia di Gaza e allargare la spaccatura fra la Fatahland in Cisgiordania e il Hamastan nella striscia di Gaza.
Ad un primo sguardo, potrebbe sembrare che Israele trarre qualche motivo di soddisfazione nel vedere infine l’Egitto sprofondato nel pantano di Gaza. Ma in realtà non si tratta di un gioco a somma zero, nel quale ogni svantaggio per il Cairo significa automaticamente un vantaggio per Gerusalemme. Gaza rimane anche un problema israeliano.
L’aspetto più problematico di questi sviluppi è che sono capitati quasi per caso e non come risultato di un ordinato processo decisionale. A metà gennaio, mentre il ministro della difesa Ehud Barak decideva una stretta del blocco economico, in seguito al fuoco di fila palestinese su Sderot, senza una vera discussione della cosa a livello politico e professionale, l’intelligence dal canto suo non interpretava correttamente i segnali dei preparativi che Hamas stava facendo per sfondare la barriera di confine con l’Egitto. Alla vigilia dello sfondamento, l’establishment della difesa israeliano descriveva la sua politica del blocco come basata su “tentativi ed errori”. Gli errori non sono certo mancati.

(Da: Ha’aretz, 4.02.08)