Un boicottaggio ipocrita, ingiusto, riprovevole, controproducente

L’iniziativa di ministri europei contro le merci prodotte da aziende ebraiche in Cisgiordania e Gerusalemme est solleva una serie di questioni inquietanti

Editoriale del Jerusalem Post

La scorsa settimana i ministri degli esteri di sedici paesi europei hanno inviato una lettera al responsabile della politica estera dell’Unione Europea Federica Mogherini chiedendole di promuovere l’etichettatura differenziata delle merci prodotte dalle aziende di proprietà ebraica situate al di là della ex-linea armistiziale in vigore dal 1949 al 1967 fra Israele e Giordania. L’etichettatura differenziata dovrebbe rendere più facile per gli europei il boicottaggio di questi prodotti.

I boicottaggi che prendono di mira in modo particolare Israele e soltanto Israele sollevano una serie di questioni. A maggior ragione quando questi boicottaggi vengono promossi da paesi che si battono contro dilaganti manifestazioni di antisemitismo che minacciano la persistenza stessa delle antiche comunità ebraiche europee.

Il boicottaggio anti-israeliano tende ad essere intrinsecamente ipocrita: condannare un solo paese per una “colpa” piuttosto diffusa nel mondo non è altro che ipocrisia. Adottare misure che prendono di mira le aziende ebraiche situate nelle regioni di Giudea, Samaria e di Gerusalemme cadute sotto il controllo israeliano durante la guerra dei sei giorni mentre si ignorano di proposito occupazioni ben più oppressive come quelle esercitate da Cina, Russia e Turchia, è semplicemente ingiusto.

Ed è decisamente riprovevole che quei ministri degli esteri europei abbiano scelto di fare tale passo in un periodo che vede gli ebrei d’Europa regolarmente intimiditi – e ogni tanto ammazzati – per le strade delle principali città europee a causa di presunti “crimini” commessi da Israele contro il popolo palestinese. Cosa può essere passato per la mente dei ministri di paesi come la Francia e il Belgio, due dei firmatari della lettera, entrambi paesi che sono stati di recente teatro di spietati e sanguinosi attentati terroristici antisemiti; entrambi alle prese con grandi popolazioni musulmane che comprendono al loro interno molti che negano recisamente il diritto stesso ad esistere dello stato di Israele?

A peggiorare il tutto, l’infelicissima scelta di pubblicizzare il contenuto della lettera proprio nel giorno in cui Israele commemorava le vittime della Shoà.

– Se i palestinesi si oppongono a costruzioni ebraiche a Gerusalemme, forse dovremmo chiedere agli arabi dove vogliono che gli ebrei costruiscano. – Questo non ci porterebbe da nessuna parte! – Perché dici così? – Perché glielo abbiamo già chiesto… e hanno detto: “Da nessuna parte”! (cliccare per ingrandire)

I sedici ministri degli esteri dell’Unione Europea che hanno firmato la lettera devono riconoscere come minimo che Israele non scelse di occupare un altro popolo. Se conoscono per lo meno gli elementi basilari della storia del conflitto israelo-arabo-palestinese, dovrebbero sapere come avvenne che i territori al di là della Linea Verde armistiziale passarono sotto controllo israeliano: nel 1967 Egitto, Siria e Giordania innescarono ancora una volta una guerra contro Israele, che poi persero miseramente; e così la Cisgiordania, sino ad allora illegalmente occupata dalla Giordania, cadde nelle mani di Israele.

In numerose occasioni Israele ha cercato di arrivare – prima con i giordani, poi con i palestinesi – a un compromesso territoriale che garantisse ai palestinesi autonomia politica pur rispondendo alle vitali esigenze di sicurezza d’Israele, unica democrazia circondata da autocrazie musulmane ostili. La responsabilità per il mancato raggiungimento di un accordo di pace negoziato è da attribuire all’intransigenza palestinese certo non meno che alla indisponibilità degli israeliani ad assumersi altri rischi.

Ministri europei che sanno bene quanto sia difficile bilanciare i diritti umani con le esigenze di sicurezza – in particolare dopo gli attentati del 2004 ai treni di Madrid, quelli del luglio 2005 contro i trasporti pubblici di Londra, quelli del 2012 a Tolosa e Montauban e quelli del gennaio 2015 contro la redazione di Charlie Hebdo e il supermercato HyperCacher di Parigi – dovrebbero capire che Israele non può semplicemente eliminare le restrizioni di movimento previste per i palestinesi che vivono in Cisgiordania per lo meno finché Hamas e Jihad Islamica operano in quelle zone e l’Autorità Palestinese continua a celebrare e portare ad esempio le imprese dei terroristi.

Usare il boicottaggio economico per punire e, alla fine, far chiudere aziende ebraiche situate in Giudea, Samaria e Gerusalemme est risponde alla logica secondo cui solo rendendo judenrein tutta la Cisgiordania si può arrivare alla pace. A parte l’immoralità dell’assunto, questi boicottaggi ignorano la vasta cooperazione economica che esiste di fatto, e da anni, fra palestinesi e israeliani. Larghe porzioni della popolazione palestinese che vive in Cisgiordania sono interessate a varie forme di cooperazione con Israele, compresa quella economica. In un sondaggio condotto nel 2011 dall’istituto Geocartography Knowledge, l’85% dei palestinesi intervistati dichiarava di essere interessato alla cooperazione con Israele. Le aziende ebraiche in Giudea, Samaria e Gerusalemme est danno lavoro a decine di migliaia di palestinesi, e a condizioni migliori delle aziende non ebraiche.

I paesi europei sono impegnati in una battaglia per proteggere le loro comunità ebraiche da crescenti aggressioni di matrice prevalentemente musulmana. Quando i ministri degli esteri dell’Unione Europea diffondono dichiarazioni come questa, dettate da ipocrisia e manipolazioni, non fanno che alimentare l’antisemitismo mascherato da critica verso Israele. In pratica, promuovono la propagazione delle menzogne.

(Da: Jerusalem Post, 20.4.15)