Un Carneade a Ramallah

Dimissionato Fayyad, l'Autorità Palestinese ha trovato il suo perfetto primo ministro.

Di Barry Rubin

image_3755Il presidente dell’Autorità Palestinese Mahmoud Abbas (Abu Mazen) ha nominato un nuovo primo ministro: Ram Hamdullah. Di chi si tratta?
È utile ricordare che la carica di primo ministro dell’Autorità Palestinese venne originariamente imposta dieci anni fa all’Olp, all’Autorità Palestinese e al capo di Fatah Yasser Arafat nella speranza di avere un’Autorità Palestinese più moderata e più competente sul piano economico e amministrativo. Non ha funzionato granché. Eppure, a ben vedere, Hamdullah è il primo ministro perfetto per l’Autorità Palestinese.
Il suo predecessore era Salam Fayyad. Nominato sei anni fa, Fayyad era un economista serio che in effetti ha cercato di contenere la corruzione di Fatah, la fazione di governo. Fayyad piaceva ai donatori occidentali che l’hanno tenuto in carica per anni contro la volontà dei capi di Fatah, i quali periodicamente hanno cercato di sbarazzarsi di lui. Ma temevano che, una volta estromesso Fayyad, i fondi venissero tagliati. In ogni caso, sono riusciti a bloccare praticamente tutte le misure di riforma di Fayyad e non gli hanno mai lasciato giocare un ruolo significativo nei negoziati con Israele.
Sono i capi di Fatah che tengono le redini della politica generale dell’Autorità Palestinese. I diciotto membri eletti alla dirigenza nel 2009 sono per lo più intransigenti o estremisti o vecchi sodali di Arafat. Dopo l’elezione, il moderato Ahmad Qurei (meglio noto come Abu Ala), che aveva mancato la nomina per soli due voti, disse, seppur con qualche esagerazione, che le elezioni interne di Fatah erano state più false di quelle dello stesso periodo in Iran. Eppure anche lui, che era forse la persona più moderata negli alti ranghi dell’organizzazione, ha manifestato la tipica mentalità di Fatah quando ha pensato bene di accusare Israele di aver truccato le elezioni interne di Fatah, e quelli che avevano vinto di essere nientemeno che agenti israeliani. Insomma, quella che era probabilmente la personalità più moderata ha sostenuto che Israele aveva cospirato per controllare le elezioni privilegiando gli estremisti. Affermazioni che illustrano bene dove sta una parte non trascurabile del problema palestinese. Secondo Abu Ala, la vittoria di persone come Jibril Rajoub, Muhammad Dahlan e Tawik Tirawi – tutti comandanti delle forze di sicurezza palestinesi – indica che “qualcuno vuole vedere dei passacarte” nella dirigenza di Fatah, lasciando intendere che si trattava di persone troppo morbide con Israele e pronte a fare concessioni nel quadro di un accordo di pace globale. Naturalmente, nei quattro anni successivi non si è visto nessun accordo globale, né sembra oggi alle viste. Di fronte a una mentalità e a ragionamenti come questo, c’è poco da meravigliarsi se il conflitto sembra continuare all’infinito. Ma c’è di più. Chi è che soffiò ad Abu Ala il seggio al Comitato Centrale di Fatah? E’ Tayyib Abd al-Rahman, uno che è stato per molti anni a capo delle pubbliche relazioni personali di Arafat. Lo ricordo bene negli anni ‘80 quando gestiva le conferenze stampa di Arafat: a propositivo di ricambio al vertice.
Ora, però, siamo di fronte a un segnale del disprezzo che i capi di Fatah nutrono verso il presidente Usa Barack Obama, considerato troppo debole o troppo poco determinato per poter fare pressione su di loro. In effetti è un segnale di scarso rispetto il fatto che la sostituzione di Fayyad arrivi pochi giorni dopo che il segretario di stato John Kerry ha offerto un ulteriore finanziamento di 4 miliardi di dollari se l’Autorità Palestinese torna a negoziare con Israele: e l’Autorità Palestinese ha rifiutato. Stando alla tesi secondo cui l’Autorità Palestinese vuole davvero arrivare a una soluzione diplomatica a due stati accanto a Israele, questo comportamento non ha senso: non dovrebbe essere nel loro interesse arrivare a un compromesso per porre fine il più presto possibile all’“oppressione” e all’“occupazione”? Evidentemente no: purtroppo preferiscono aspettare decenni nella speranza di cancellare Israele dalla carta geografica, o lasciare la questione aperta per la prossima generazione, oppure temono che fare un compromesso significhi essere accusati di tradimento ed essere esautorati dal loro rivale islamista Hamas.
Hamdullah è in qualche modo la soluzione perfetta. Un signor nessuno, un tecnocrate privo di esperienza politica che non tenterà nemmeno di sfidare i capi del partito, né potrebbe farlo. Hamdullah farà ciò che gli verrà detto. E poi Hamdullah, preside dell’Università al-Najah, è un membro del partito Fatah (primo vantaggio); ha studiato in Gran Bretagna (secondo vantaggio); è professore di inglese (terzo vantaggio). In altre parole, sa come trattare con l’Occidente e, si spera, saprà preservare il flusso di denari dall’estero, ma non potrà fare né tentare nient’altro. Hamdullah non potrà negoziare, neanche se volesse. Ignorerà le esortazioni occidentali a tornare al tavolo delle trattative, ma continuerà ad accettare gli assegni e, con il suo inglese dall’accento britannico, continuerà a garantire all’Autorità Palestinese una facciata moderata che le guadagni punti nelle pubbliche relazioni.
Nel frattempo, staremo tutti ad aspettare ancora uno, due o tre anni per vedere chi sarà il successore di Abu Mazen, che da tempo ha oltrepassato il termine del suo mandato elettivo senza che nessuno in Occidente abbia ritenuto di sottolineare che la sua presidenza non è più legittima. Anche il suo desiderio di ridiventare alleato dei terroristi di Hamas passa sotto silenzio, così come il fatto che l’Autorità Palestinese abbia di fatto rigettato gli accordi di Oslo del 1993 con Israele, sui quali si fonda la sua stessa esistenza.
Eppure, per quanto corrotta, incompetente e intransigente, l’Autorità Palestinese serve a uno scopo: tiene in piedi la finzione che sia ancora vivo “il processo di pace”, e tiene Hamas fuori dal potere: perlomeno in Cisgiordania, visto che Hamas già comanda nella striscia di Gaza. E impedisce che la Cisgiordania finisca nelle mani di islamisti rivoluzionari che la userebbero per lanciare quanto prima una guerra contro Israele, sostenuta dagli altri regimi dei Fratelli Musulmani.
Il che di per sé è utile, dato che non vi è nessuna leadership palestinese alternativa moderata che possa fare la pace con Israele. Anche se questa Autorità Palestinese non ha un vero interesse a fare ciò che sarebbe necessario per arrivare concretamente a uno stato palestinese a fianco di Israele.

(Da: gloria-center.org, 3.6.13)

Nella foto in alto: Barry Rubin, autore di questo articolo