Un compito per gli arabi israeliani
Dopo quello del rifiuto arabo, il problema dei rifiuti arabi...
Da un articolo di Zafrir Rinat
“Pensare globalmente, agire localmente”. Questo è probabilmente il più importante slogan proposto dal movimento ambientalista nel mondo. In Israele, non c’è luogo che necessiti di una urgente applicazione di questo appello più delle città arabe e beduine.
Negli ultimi anni molte di queste centri abitati sono diventati il fulcro di attività pericolose per l’ambiente e la salute pubblica. Rifiuti disseminati da ogni parte e accumulati in grandi mucchi, impianti per il trattamento delle acque di scolo che vanno a pezzi, fogne non trattate che inquinano fiumi e minacciano la falda idrica.
Ditte e operai dell’edilizia depositano detriti e rottami alla periferia dei villaggi o nelle vicinanze di parchi e boschi, talvolta a pochissima distanza dai siti contrassegnati come luoghi per la raccolta della spazzatura. In molte città non c’è neanche un parco o un giardino pubblico, e i pochi che ci sono versano in stato di abbandono.
Per molti anni il governo israeliano non si è adeguatamente occupato delle fatiscenti infrastrutture nelle città arabe, ma non si può addossare al governo la responsabilità per tutto quello che accade in queste comunità. È tempo che gli abitanti delle città arabe iniziano a pensare ai problemi in termini nazionali ma agendo sul piano locale. Anche la grave crisi finanziaria e amministrativa che attanaglia molti consigli comunali arabo-israeliani non basta a giustificare un incuria ambientale così estesa e generalizzata.
In molte città arabe, micidiali lotte fra famiglie di notabili o potenti gruppi di interessi impediscono l’adozione di misure che avvantaggerebbero tutta la comunità, come ad esempio l’assegnazione di terreni per la creazione di parchi pubblici. Esiste poi un enorme problema di insufficiente riscossione delle tasse municipali e delle bollette per acqua e rifiuti, problema che paralizza le possibilità di una città di fare fronte alle carenze infrastrutturali.
Di fronte di questo totale collasso, la comunità araba israeliana ha urgente bisogno di leadership e di un appropriato livello di consapevolezza, due elementi vistosamente assenti.
L’inconsapevolezza o, per essere più precisi, l’indifferenza e l’apatia rispetto all’ambiente appena fuori la porta di casa hanno prodotto una situazione in cui la gente insudicia il proprio villaggio anche quando avrebbe la possibilità concreta di non farlo.
La mancanza di leadership impedisce la pianificazione e l’assegnazione di risorse, cosa che con ogni probabilità apporterebbe un miglioramento in gran parte dei campi legati alla qualità della vita. I leader locali ancora non sembrano afferrare le responsabilità che hanno in tutte le questioni relative alla soluzione di problemi basilari. Alcuni di questi leader, poi, sono collusi con gruppi di interesse che si impadroniscono di terreni pubblici e li sfruttano per usi privati.
Il massimo che oggi si può sperare e auspicare è che organizzazioni di semplici cittadini ed enti non-profit riescano a modificare questa realtà di fatto. Alcuni gruppi socio-ambientalisti sono oggi attivi in molte città, sostenuti dalla consapevolezza di dover operare con i leader locali e sforzarsi di insegnare alla gente il nesso stretto che esiste fra qualità della vita e protezione dell’ambiente.
Esperienze analoghe nelle città ebraiche d’Israele mostrano che una campagna condotta dagli abitanti del posto insieme a organizzazioni ambientaliste può rappresentare uno strumento efficace per esercitare pressione sui decisori ad ogni livello dell’amministrazione. Essa aiuta anche a indirizzare l’opinione pubblica verso un orientamento più sensibile ala tematica “verde”.
Vi sono persone, nelle città arabe, ancora convinte che preoccuparsi per l’ambiente costituisca un lusso per municipalità che devono fare i conti con povertà, disoccupazione, carenza di terre. Ma non è affatto un lusso garantire che mucchi di spazzatura mucchi di immondizia e fogne a cielo aperto non assedino le case da ogni parte, trasformandosi in una minaccia per la salute pubblica e recando grave danno alla qualità della vita.
(Da: Ha’aretz, 7.10.08)