Un falso pretesto che può diventare un problema vero

La questione delle Fattorie Shaba può minare la legittimità dellazione internazionale

Da un articolo di Shlomo Avieri

image_1341La comparsa delle Fattorie Shaba come uno dei possibili elementi di un accordo che autorizzi il dispiegamento di una forza multinazionale nel Libano meridionale solleva un certo numero di questioni di cui forse non tutti le parti coinvolte negli attuali negoziati si rendono conto fino in fondo, e che vanno al nocciolo stesso dell’esistenza del Libano come stato sovrano.
Di quali questioni si tratta?
Gli accordi di Demarcazione anglo-francesi del 1923, che fissarono i confini fra Mandato Britannico e Mandato Francese su Palestina, Siria e Libano, inclusero nella Siria l’area delle Fattorie Shaba. Anche le mappe dell’Accordo d’Armistizio israelo-siriano del 1949 designano quell’area come siriana.
Nel 1967, con la guerra dei sei giorni, la zona delle Fattorie Shaba cadde, come tutto il Golan, sotto controllo israeliano. Il Libano non fu nemmeno coinvolto in quella guerra, e Israele non fu impegnato in alcun combattimento con esso. A quel tempo nessuno, né Siria né Libano, sosteneva che le Fattorie Shaba fossero territorio libanese.
Israele entrò nel Libano meridionale (con alterne vicende) solo partire dal 1978. Durante le discussioni in occasione del ritiro israeliano dal Libano meridionale nel maggio 2000, per la prima volta Beirut avanzò la rivendicazione delle Fattorie Shaba. Tuttavia, sulla base di tutte le mappe e documenti storici precedenti, l’Onu si attenne alla versione condivisa anche da Israele secondo cui quell’area era stata territorio siriano e dunque doveva essere oggetto di negoziati fra Israele e Siria.
Intanto, però, la nuova rivendicazione libanese veniva usata da Hezbollah per continuare la “resistenza” contro “l’occupazione israeliana di territorio libanese” anche dopo il ritiro israeliano. In ogni caso, non vi è nessuno davvero convinto che, se anche le Fattorie Shaba fossero state trasferite al Libano, Hezbollah avrebbe cessato i suoi attacchi armati il cui scopo, in fondo, è quello di contribuire alla distruzione della “entità sionista nella Palestina occupata”.
Fin qui tutto sembra relativamente semplice. Le cose si complicano quando entra in scena la Siria. Al momento del ritiro israeliano del maggio 2000, l’Onu chiese alla Siria quale fosse la sua posizione sulla questione. Damasco si trovò in imbarazzo. Da una parte, infatti, si trattava con tutta evidenza di territorio siriano. Dall’altra, però, ammettendo che le Fattorie Shaba erano libanesi, c’era la possibilità di strappare a Israele un’altra fettina di territorio e comunque di tenere aperta la conflittualità fra Libano e Israele. Così la Siria rispose che, indipendentemente dalle sue posizioni precedenti, era ora d’accordo di cedere le Fattorie Shaba al Libano. Ma quando l’Onu chiese a Damasco un documento ufficiale che affermasse che l’area era stata effettivamente trasferita in termini legali al Libano, la Siria si tirò indietro. E ancor oggi non ha fornito nessun documento del genere.
Come mai? Non può farlo per la ragione pura e semplice che, fino ad oggi, la Siria non ha ancora accettato la legittimità dell’esistenza di uno stato libanese separato e sovrano. Quello che è oggi il Libano venne ritagliato dalla potenza mandataria francese negli anni ’20 nel tentativo di dare vita nel Levante a un’entità araba cristiana, filo-occidentale. Da qui deriva, fra l’altro, l’ininterrotta sollecitudine della Francia verso le sorti del Libano, compreso il suo recente sostegno alle risoluzioni dell’Onu che chiedevano alla Siria di uscire una buona volta dal Libano (occupato in parte o completamente dalle truppe di Damasco sin dalla seconda metà degli anni ’70).
Il non riconoscimento del Libano come stato indipendente da parte della Siria (che fa il paio con il suo non riconoscimento di Israele) comporta delle conseguenze. Non esistono rapporti diplomatici fra i due paesi, non esiste un’ambasciata siriana a Beirut né un’ambasciata libanese a Damasco. Durante gli anni dell’occupazione siriana, il rappresentante della Siria in Libano era il direttore dell’intelligence militare siriana (Ghazi Canaan, che alla fine si è suicidato in circostanze oscure). Nei libri di testo scolastici siriani il Libano (come Israele e territori) figura come parte della “grande Siria” (Bilad al-Sham).
Dunque il rifiuto siriano di fornire un documento che confermi la cessione delle Fattorie Shaba al Libano non è una mera formalità. Se la Siria dovesse produrre un tale documento, in cui si affermasse chiaramente che le fattorie fanno parte del Libano e non della Siria, ciò significherebbe che la Siria riconosce il Libano come uno stato separato, indipendente e sovrano: cosa che la Siria non ha mai detto né mai accettato.
I diplomatici che oggi si preoccupano di far cessare le violenze nel Libano meridionale e nel nord di Israele dovrebbero essere messi a conoscenza di questo rebus, che non è solo formale. Se le Fattorie Shaba dovessero figurare in qualunque forma nell’accordo per la cessazione delle ostilità, ciò dovrebbe essere accompagnato da una inequivocabile dichiarazione da parte della Siria che riconosca che l’area appartiene alla Repubblica del Libano. A mio parere, le possibilità che Damasco produca una tale dichiarazione ufficiale sono pochissime. Ma senza di essa, la legittimità internazionale di un accordo che contempli le Fattorie Shaba e la sua susseguente applicazione potrebbero rivelarsi estremamente problematiche.

(Da: Jerusalem Post, 30.07.06)

Nella mappa in alto: Il tondo colorato indica la zona delle fattorie Shaba