Un film sul dolore della guerra

“Lebanon”, vincitore del Leone d’Oro a Venezia, è un film contro la guerra, non un film politico

di Nahum Barnea

image_2610Quattro soldati trascorrono la prima notte della guerra del Libano 1982 nel loro carro armato, ai margini della campagna militare: questa è la premessa del film israeliano “Lebanon”, che ha vinto il Leone d’Oro al Festival di Venezia sabato scorso. Durante quella notte, i soldati vivono una serie di esperienze traumatiche.
Ho visto il film quando è stato proiettato al Festival del cinema di Gerusalemme, a luglio di quest’anno. Durante tutto il film sono rimasto seduto con i pugni stretti, teso fino allo spasimo. Voglio spiegare perché.
Contrariamente all’impressione creata dal titolo del film, “Lebanon” non è un film politico. È un film contro la guerra, proprio come qualunque buon film sulla guerra è in realtà un film contro la guerra. Shmulik Maoz, che ha scritto il copione e diretto il film, ha trasposto nel linguaggio cinematografico una realtà che ha vissuto personalmente. Il risultato è così autentico e così intenso che in qualche momento mi è sembrato di essere il quinto soldato in quel carro armato. Il rumore del motore mi martellava le tempie. Il fuoco della mitragliatrice mi faceva sobbalzare. L’odore della benzina sul pavimento del carro armato mi faceva girare la testa.
I soldati hanno paura. Hanno paura perché prima di quella notte non hanno mai avuto esperienze di combattimento. Hanno paura perché per la prima volta hanno incontrato la morte faccia a faccia: la morte dei nostri soldati, la morte dei loro, la morte accidentale di civili, e altri orrori scaturiti dal combattimento. Hanno paura anche perché scoprono che dietro alla facciata saccente ed arrogante, anche i loro comandanti non sono meno spaventati.
Nei film di guerra eroici – gli americani ne hanno prodotti a decine durante e dopo la seconda guerra mondiale – le mitragliatrici sparano incessantemente e non sbagliano mai un colpo: ogni proiettile colpisce il bersaglio. I combattenti sono efficienti, disciplinati e concentrati. Ma quelli sono film di propaganda.
Nelle guerre reali, tutto quello che può andare storto va storto: il motore non si accende, la mitragliatrice non spara, e quando finalmente spara non sempre distingue i buoni dai cattivi. I combattenti sono tesi, confusi e litigano tra loro durante gli intervalli. “Lebanon”, il film, cerca di raccontare la storia della guerra come è veramente.
E’un film duro da vedere. È un film che bisogna vedere.
Possiamo trovare paradossale il fatto che le guerre israeliane, quanto meno hanno successo, tanto più ne hanno i film che ne parlano. La guerra del Libano del 1982 ne è forse il più chiaro esempio: nata nel peccato, durò diciotto anni di più di quello che avrebbe dovuto. Che cosa ci ha dato, oltre a morte, lutto e distruzione per entrambe le parti? Ci ha dato Hezbollah. E anche quattro film (fino ad oggi) di grande qualità: “Two Fingers from Sidon”, “Beaufort”, “Waltz with Bashir”, e “Lebanon”.
Ma non dobbiamo confonderci. La stato fondamentale delle cose, in questa regione, esige che che Israele viva con la spada in pugno. È difficile, è atroce e spesso comporta grande dolore per gli altri e grande dolore per noi. Ma sottrarsi alla battaglia non sarebbe una soluzione.
Possiamo capire la grande gioia provata dagli autori del film quando hanno appreso di aver vinto il Leone d’Oro. Lo meritavano. Tuttavia, sarebbe giusto ricordare loro (ed anche agli autori di “Waltz with Bashir”, che ha vinto il the Golden Globe,) che questi splendidi successi nascono dal trauma: il loro trauma personale ed il nostro trauma nazionale.
Non ho intenzione di guastargli festa. Voglio solo osservare che questa gioia comporta, in modo molto israeliano, un grande dolore.

(Da: Ynetnews, 16.09.09)