Un governo per risanare Israele

Rappresentando destra e sinistra, laici e religiosi, ebrei e arabi, la nuova coalizione ha la potenzialità di ricucire le lacerazioni e rimettere in funzione il paese. Ma è una scommessa difficile

Di David Brinn

David Brinn, autore di questo articolo

Sembra passata un’eternità, e non un solo mese, da quando Yair Lapid ha ricevuto l’incarico dal presidente Reuven Rivlin di formare una coalizione di governo, dopo che il primo ministro Benjamin Netanyahu non era riuscito a farlo. Israele non è più lo stesso del 5 maggio, quando Rivlin consegnò il mandato nelle mani del leader di Yesh Atid, spiegando che il suo nome era stato segnalato da 56 parlamentari contro i sette che avevano indicato il leader di Yamina, Naftali Bennett. Da allora, il paese ha vissuto una traumatica guerra di 11 giorni scatenata da Hamas con circa 4.500 razzi lanciati dalla striscia di Gaza, alcuni dei quali sono riusciti a colpire i principali centri abitati israeliani provocano morti e feriti fra la popolazione civile.

L’annuncio all’ultimo minuto, mercoledì sera, della formazione del tanto decantato governo del “cambiamento” mediato da Lapid, che vedrà Bennett ricoprire per primo la carica di primo ministro d’Israele pur essendo a capo di una formazione con solo sette seggi, costituisce il primo tentativo di ripristinare un senso di equilibrio in una nazione da troppo tempo senza bussola. Lo spettro di una quinta tornata elettorale ravvicinata era qualcosa che nessun israeliano razionale auspicava. Eppure, come hanno dimostrato i diverbi che hanno caratterizzato fino all’ultimo momento la nascita di questa coalizione di ripiego, c’era un’evidente possibilità che proprio lì si tornasse.

I leader degli otto partiti della coalizione. Dall’alto in basso, colonna di sinistra: Merav Michaeli (Laburisti), Nitzan Horowitz (meretz), Mansour Abbas (Raam); colonna centrale: Nafatali Bennett (Yamina), Yair Lapid (Yesh Atid); colonna di destra: Benny Gantz (Blu-Bianco), Avigdor Liberman (Yisrael Beytenu); Gideon Sa’ar (Muova Speranza)

E la possibilità che si torni alle urne molto prima della scadenza naturale del nuovo governo rimane evidente. Per quanto sia stato arduo convincere a sedersi insieme partiti con ideologie e filosofie così disparate come Yamina e Ra’am o Yisrael Beytenu e Meretz, in realtà la parte difficile inizia solo adesso. Il loro denominatore comune è stato quello di vedere infine destituito Netanyahu dopo il più lungo periodo da primo ministro nella storia di Israele, ma questa non sarà una ragione sufficiente per tenere insieme il governo nel prossimo futuro.

Eppure a questa coalizione viene offerta la chance di cambiare davvero Israele in meglio, senza virgolette. Rappresentando destra e sinistra, ebrei e arabi, laici e religiosi (non ultra-ortodossi ndr), il nascente governo ha la potenzialità di porre rimedio a sfiducia e animosità, di sanare le fratture tra le varie comunità e di guidare il paese lungo un percorso meno travagliato e più stabile. Ma per raggiungere questo obiettivo, i partiti che compongono la coalizione devono temporaneamente archiviare le loro ambizioni e ideologie e lasciarle fuori dalla porta.

Come attestano le diatribe e i diverbi che hanno contrassegnato questa settimana, non sarà facile. Potrebbe anche rivelarsi impossibile. Ma se i membri della coalizione terranno a mente di chi dovrebbero essere al servizio e si concentreranno sulle questioni e sui principi di base che legano gli israeliani tra loro – il diritto a vivere con dignità, sicurezza e rispetto reciproco – allora si può sperare che ci riescano.

Invece di affrontare grandi temi, l’obiettivo dovrebbe essere quello di rimettere in funzione il paese. Dopo anni di lacerazioni, vedere all’opera un governo che riesca a collaborare per il bene del paese non solo ci riporterebbe agli ideali su cui Israele è stato fondato, ma fornirebbe un modello per il resto della cittadinanza su come comportarsi nelle interazioni reciproche.

È una scommessa difficile. Ma dopo due anni di impasse politica e senza una legge di bilancio, dopo oltre un anno sotto il peso di una pandemia letale e dopo 11 giorni di aggressione terroristica, sopporteremmo tutti volentieri un po’ di ragionevolezza. Speriamo che la nuova coalizione possa fornirla.

(Da: Jerusalem Post, 3.6.21)