Un mondo senza Israele

Il presidente iraniano non è lunico a voler cancellare Israele dalla mappa geografica.

Da un articolo di Amnon Rubinstein

image_969Il presidente iraniano non è l’unico a voler cancellare Israele dalla mappa geografica. Esiste un gruppo di accademici e di giornalisti che già lo fa, non con le armi nucleari ma con carta e inchiostro. Sugli scaffali delle librerie nei paesi occidentali si può trovare un buon numero di libri che spazzano via Israele dalla mappa, mentre è quasi impossibile trovare libri – a parte i lavori di Alan Dershowitz – che confutino i loro argomenti.
Si tratta di libri che non attaccano l’occupazione, ma l’idea stessa di uno stato per gli ebrei. “Zionism: The Real Enemy of the Jews” (Sionismo, il vero nemico degli ebrei), dell’ex corrispondente della BBC Alan Hunt, è una invettiva prolissa (600 pagine solo il primo volume) contro il sionismo, la dichiarazione Balfour e il concetto di uno stato per gli ebrei in Palestina. Trae il titolo da una mozione discussa in tutta serietà a un convegno organizzato dall’Evening Standard di Londra. Il fatto che il pubblico di quel consesso, per lo più ebraico, abbia approvato la mozione viene considerato da Hunt – e come dargli torto? – un evento di portata storica, e lo spinge a sviluppare la tesi in un trattato in due volumi.
“The Question of Zion” (La questione di Sion), di Jacqueline Rose, e “Myths of Zionism” (Miti del sionismo), di John Rose, sono due attacchi al sionismo assai simili fra loro. Anche il professor Tony Judt, della New York University, ha già cancellato Israele dalla mappa geografica sulla scrivendo New York Review of Books nell’ottobre 2003 che “Israele è un anacronismo”, e proponendo la sua sostituzione con un unico stato bi-nazionale (arabo-ebraico).
Forse sulle orme di Judt, il professor Ilan Pappe, dell’università di Haifa, ha eliminato Israele con un articolo sul francese L’Essentiel (estate 2005). Pappe spera che il ritorno dei profughi palestinesi dia vita a “uno stato unitario, secolare e democratico” che dovrebbe sostituire Israele. Naturalmente, dà per scontato che gli ebrei da allora in poi vivranno felici come minoranza entro uno stato secolare e democratico, come ce ne sono tanti altri in Medio Oriente.
Mi dicono che anche il museo delle cere di Madame Tussaud, a Londra, ha già cancellato Israele dalla sua esposizione: compaiono quattro leader arabi (Yasser Arafat, Saddam Hussein, Muammar Gheddafi e re Hussein di Giordania) ma nessun leader israeliano.
Vi sono poi quelli che non invocano l’eliminazione di Israele, ma si adoperano per eliminare ogni briciola di giustificazione a sostegno di uno stato per gli ebrei. Alla non breve lista di accademici israeliani che si sono fatti un nome diffamando il loro paese, si aggiunge ora una nuova opera: “Suppressing the Guilt” (Nascondere la colpa) di Daniel Dor, dell’Università di Tel Aviv. Ovviamente, la colpa citata nel titolo consiste è dovuta ai comportamenti di Israele in Cisgiordania, e chi vuole nascondere la colpa sono i mass-media israeliani che celano la verità ai loro lettori. Tutti i mass-media? Ebbene sì, anche Ha’aretz viene redarguito: la sua direzione “ingannò i lettori in modo fondamentale” sui fatti di Jenin. Come? Non dando maggiore rilievo alla loro reporter Amira Hass – che era volata a Londra per sostenere quella mozione dell’Evening Standard’ – e relegando le sue corrispondenze da Jenin in una sezione interna del giornale. Dal canto suo la Hass, in una fascetta promozionale sul libro di Dor, ne elogia il contenuto che a suo dire “dà ampia prova di come la libera stampa israeliana si sia trasformata facilmente in uno strumento di propaganda”.
Invero questi e altri simili attacchi hanno raggiunto una forza tale da spingere Josef Joffe, direttore ed editore del tedesco Die Zeit, ha scrivere su Foreign Policy (febbraio 2005) un articolo intitolato “Un mondo senza Israele”, nel quale l’autore si prende la briga di spiegare che la scomparsa di Israele dalla faccia della Terra non risolverebbe i problemi del mondo: attentatori suicidi e odio per l’America non scomparirebbero con l’eliminazione di Israele. È significativo notare come una questione di questo genere venga posta sempre e solo nel caso di Israele: nessuno ritiene di dover scrivere un articolo intitolato “Un mondo senza Siria” o senza Iran.
In tutte queste requisitorie, c’è un punto che resta senza spiegazione. Perché il popolo ebraico non dovrebbe godere del diritto all’auto-determinazione? Perché questo diritto dovrebbe essere garantito al popolo sudanese e non a quello ebraico? Perché è così assurdo che vi sia uno stato in cui l’ebraico sia lingua ufficiale e le feste ebraiche siano festività ufficiali? Il popolo ebraico non ha forse mostrato abbastanza spirito di solidarietà nazionale verso il proprio stato? Gli ebrei di Israele non hanno forse dimostrato abbastanza determinazione nel resistere a guerre, terrorismo, boicottaggi e assedi diretti contro di loro?
Il coro dei dotti non tenta nemmeno di rispondere a queste domande. I loro attacchi contro il sionismo sono compulsivi, non accademici, pieni di mezze verità orecchiate e di paranoia malcelata. Invero, gli anti-israeliani fano ricorso a uno stile che è molto simile al linguaggio di certi antisemiti: Israele è inferiore e non deve godere dei diritti riconosciuti ad altri popoli. Un tempo era l’individuo ebreo, ora è lo stato degli ebrei. Il ritornello dei nazisti era: “gli ebrei sono la nostra rovina”. Oggi lo stato degli ebrei viene dipinto come la “rovina” del mondo intero. Ecco perché tutti questi cancellatori, che siano israeliani, ebrei o illustri professori, sono obiettivamente contro gli ebrei.
Dovrebbero capire che gli scritti che cancellano Israele dalla mappa geografica saranno a loro volta cancellati dalla storia, dalle coscienze e da ogni credibilità. Vadano pure avanti i Judt, i Pappe, i Rose e gli Hunt: prima o poi i loro scritti finiranno nel posto che meritano.

(Da: Jerusalem Post, 15.11.05)

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