Un Oscar all’ipocrisia

Dov’è finita la tolleranza del professore arabo che si rifiuta di insegnare a un riservista in divisa?

Da un articolo di David Fisher

image_1904Nel 1988 un giovane film-maker israeliano si rivolse alla New Israeli Foundation for Film and TV (che dirigo) chiedendo aiuto per girare un documentario su una famiglia palestinese con il quale intendeva affrontare il tema del “diritto al ritorno” (dei profughi palestinesi e loro discendenti all’interno di Israele) e del desiderio dei palestinesi di tornare nella loro patria mezzo secolo dopo esserne stati espulsi. Sebbene l’argomento e il taglio del film fossero ostici anche per chi è molto sensibile alle sofferenze dei palestinesi, il film venne valutato sulla base di criteri esclusivamente artistici e gli venne accordato un finanziamento.
Il giovane film-maker si chiamava Nizar Hassan [il professore arabo di cinema del college Sapir di Sderot che lunedì ha ingiunto a uno studente riservista in uniforme, di ritorno del suo periodo di servizio, di lasciare la classe e tornare in abiti civili dicendo che si rifiutava di far lezione a poliziotti o soldati israeliani. Il riservista è restato al suo posto subendo continue osservazioni malevole da parte del professore].
A quel tempo Hassan trovò appropriato rivolgersi a una fondazione israeliana che riceve finanziamenti statali per chiederle, in nome della tolleranza e dello spirito liberale, di sostenere un film pro-palestinese che metteva in dubbio il diritto dello stato di Israele di preservare la propria maggioranza ebraica (cioè la propria ragion d’essere). Oggi, dieci anni più tardi, quello stesso Nizar Hassan ha mostrato la sua intolleranza rifiutandosi di insegnare a uno studente che era arrivato in aula direttamente dal servizio militare da riservista e che pertanto (come accade spessissimo in Israele) indossava ancora la sua uniforme. Semplicemente, ad Hassan non aggrada l’esercito nel quale servono praticamente tutti i suoi studenti (maschi e femmine), per cui non è disposto ad avere davanti agli occhi, in aula, l’uniforme kaki simbolo di quell’esercito.
Si può star certi che Nizar Hassan protesterebbe molto vivacemente se un professore ebreo cercasse di buttar fuori dall’aula una studentessa musulmana che si presentasse con l’hijab o uno studente arabo con la keffiyah, e avrebbe ragione. Eppure anche questo paragone non rende conto del caso in questione, giacché le distinzioni religiose – che tutti dovremmo rispettare – non sono lo stesso di una uniforme che nessuno indossa per scelta o per capriccio.
Ed è proprio qui il punto della questione. Tutti noi dovremmo mostrare tolleranza gli uni verso gli altri, fino a un certo limite: in questo caso, fino al limite stabilito dal college dove Hassan insegna. Questa tolleranza si dovrebbe riflettere nell’accettare la religione, i costumi, le convinzioni e le opinioni di tutti, compresa l’accettazione di uno studente che arriva in classe indossando la divisa militare.
Nizar Hassan non è un caso isolato. Di questi tempi è sempre più diffuso nel mondo dell’università e della cultura un atteggiamento estremista che non ha nulla a che vedere con il classico atteggiamento liberale, un atteggiamento secondo il quale, in nome del senso di umiliazione e discriminazione percepito da una minoranza (in questo caso, quella degli arabi israeliani), quella stessa minoranza sembra avere il diritto di sfoggiare intolleranza, disprezzo e rifiuto verso coloro che appartengono alla maggioranza, pur continuando a predicare contro il razzismo e la discriminazione di cui sarebbe vittima. Ed è chiaro che il giorno in cui avesse il potere, magari anche solo per un breve periodo, quella minoranza farà tutto il possibile per nuocere alla maggioranza in nome di quello stesso senso di discriminazione, unito a un forte desiderio di “fare giustizia”.
Bisogna essere molto chiari su questo punto: il razzismo è razzismo, la discriminazione è discriminazione e l’intolleranza è intolleranza anche se coloro che ne fanno sfoggio sono membri di un gruppo di minoranza. Dopotutto Nizar Hassan e i suoi compagni sono quelli che spesso e volentieri fanno la predica agli ebrei dicendo che proprio chi ha patito razzismo e antisemitismo dovrebbe essere particolarmente tollerante e illuminato nel suo comportamento verso altri popoli. Se è così, perché mai questo concetto, che viene immancabilmente applicato agli ebrei, non dovrebbe essere valido quando si tratta degli arabi?
In realtà, Hassan dimostra una sfacciata ipocrisia. In passato venne sostenuto da fondazioni israeliane nel suo lavoro di film-maker. Poi, una volta diventato un autore affermato, ha scoperto di provare avversione per il denaro israeliano. Oggi viene finanziato da fondi stranieri e si fa un punto di non parlare ebraico e di presentarsi come un palestinese anziché un arabo israeliano. Ma tutto questo non gli impedisce di guadagnarsi da vivere insegnando in un college israeliano finanziato dal governo israeliano e dai suoi studenti, molti dei quali prestano servizio nelle Forze di Difesa israeliane. Se non è ipocrisia questa…

(Da: YnetNews, 20.11.07)

Nella foto in alto: Soldati israeliani in aula

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