Un ostacolo alla pace dove meno ce lo si aspetterebbe

Arabi israeliani e arabi palestinesi hanno interessi opposti riguardo a un accordo israelo-palestinese.

Di Guy Bechor

image_2964Per anni i leader della minoranza araba israeliana si sono fatti un vanto di essere sostenitori di uno stato palestinese e favorevoli alla pace fra Israele e palestinesi. Tuttavia un esame più attento delle loro dichiarazioni mostra che le cose non stanno in questo modo. La dirigenza arabo-israeliana nelle sue varie ramificazioni agisce di fatto contro l’aspirazione palestinese all’indipendenza. Si tratta di un ceto dirigente che non è realmente interessato alla nascita di uno stato palestinese indipendente.
La cosa è apparsa molto chiaramente allo scoppio della seconda intifada, esattamente dieci anni fa, quando la leadership arabo-israeliana – dal Movimento Islamico israeliano sino all’estrema sinistra – mandò i suoi attivisti nelle strade in un tentativo di sovversione dello stato d’Israele, col bel risultato che, da allora, l’opinione pubblica israeliana è diventata molto più diffidente ed esigente nei confronti di un possibile accordo di pace. Gli ebrei israeliani possono anche accettare di ritirarsi da buona parte dei territori, ma se dovesse emergere uno stato arabo all’interno di Israele, dove di grazia potrebbero mai andare a stare?
Da allora le cose non hanno fatto che peggiorare e complicarsi, arrivando al punto in cui Mahmoud Abbas (Abu Mazen), in uno dei suoi più famosi discorsi, ha redarguito gli arabi israeliani domandando chi avesse mai chiesto il loro aiuto durante l’intifada. Nel frattempo i deputati arabi alla Knesset vanno adottando un atteggiamento più estremista di quello degli stessi palestinesi rispetto a Israele e ai futuri negoziati. Ad esempio, quando alcuni giorni fa il segretario generale dell’Olp Yasser Abed Rabbo ha lasciato intendere che, a certe condizioni, la sua organizzazione avrebbe potuto riconoscere l’identità ebraica di Israele (per la precisione ha detto che potrebbe riconoscere Israele “in qualunque modo esso voglia definirsi”), il parlamentare arabo israeliano Jamal Zahalka (partito Balad) si è affrettato a rimproverarlo spingendosi al punto di chiederne nientemeno che le dimissioni.
Laddove alcuni leader palestinesi sembrano disposti a trattare su quello che viene generalmente definito il “diritto al ritorno”, i parlamentari arabi israeliani alla Knesset non sono disposti nemmeno a sentir parlare di una tale eventualità. Sono più intransigenti dei palestinesi, tanto da frenare qualunque progresso verso uno stato palestinese.
I leader della minoranza arabo israeliana non esitano a tessere gli elogi di Gheddafi a Tripoli e di Assad a Damasco, due personaggi che non sono esattamente dei fan dello stato palestinese indipendente. Il Movimento Islamico israeliano-Ramo Nord è in realtà più vicino a Hamas, nemico della pace, che all’Autorità Palestinese. Il partito Balad, basato sulla scuola di pensiero di Azmi Bishara, disprezza l’Autorità Palestinese per via degli accordi che ha firmato con Israele: non é nemmeno certo che il partito Balad riconosca l’Autorità Palestinese.
Tutto ciò pone la questione: come mai la leadership arabo israeliana è più estremista della leadership dell’Autorità Palestinese? Un interrogativo che ammette due risposte piuttosto sorprendenti.
Innanzitutto le fortissime recriminazioni diffuse nel mondo arabo verso gli arabi israeliani, considerati a lungo come coloro che avevano tradito e si erano arresi agli ebrei (per il solo fatto di essere restati in Israele nel 1948, diventando cittadini israeliani), obbligano gli arabi israeliani ad adottare un approccio sempre più provocatorio verso il paese di cui sono cittadini, cioè Israele: sono continuamente costretti a dimostrare di non essere dei traditori della causa araba e palestinese, e di essere anzi più nazionalisti degli altri. Sicché paradossalmente i cosiddetti “arabi del 48” resteranno sempre imprigionati nelle cocenti accuse arabe contro di loro. Accuse che li etichettano, ed essi anziché scrollarsele di dosso vi restano ancorati sempre più: mentre i palestinesi non devono dimostrare nulla, gli arabi israeliani sono costantemente sotto esame di nazionalismo.
La seconda risposta è la seguente: dove potrebbero essere spostate le decine di migliaia di israeliani che oggi vivono in Cisgiordania il giorno in cui dovessero sgomberare dalla Cisgiordania? Perlopiù in Galilea e nel Negev, vale a dire nelle regioni dove è maggiormente concentrata la popolazione araba d’Israele (per non dire della proposta di Lieberman di spostare il confine in modo da far ricadere i maggiori centri arabi israeliani nel territorio del futuro stato palestinese).
Ora si può capire come mai arabi israeliani e arabi palestinesi hanno in realtà interessi opposti riguardo ad un accordo israelo-palestinese. Il successo dei palestinesi potrebbe rivelarsi disastroso per gli arabi israeliani. Ma è giunta l’ora di svelare – sia ai leader israeliani che dell’Autorità Palestinese – il ruolo svolto da coloro che un tempo venivano definiti “un ponte di pace”.

(Da: YnetNews, 14.10.10)

Nella foto in alto: Guy Bechor, autore di questo articolo

Si veda anche:

Solo paranoia ebraica?

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I cittadini arabi d’Israele meritano una leadership migliore

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Arabi alla Knesset: la grande occasione mancata

https://www.israele.net/articolo,2760.htm