Un piano per la riconciliazione (fra palestinesi)

Il documento dei detenuti non impegna al riconoscimento di Israele

Da un editoriale del Jerusalem Post

image_1240Mentre la situazione finanziaria del governo Hamas si fa sempre più difficile, il ritmo della lotta di potere tra Hamas e Fatah sembra farsi più incalzante. Gli scontri armati fra palestinesi si sono fatti sempre più frequenti finché Hamas, nei giorni scorsi, sembrava aver temporaneamente ritirato dalle strade le proprie forze.
In questo quadro, il presidente dell’Autorità Palestinese e leader di Fatah Mahmoud Abbas (Abu Mazen) ha posto a Hamas un ultimatum: appoggiate il “documento dei detenuti” come base per la “riconciliazione” fra palestinesi, oppure il documento di intesa verrà sottoposto a referendum popolare.
Israele non ha reagito ufficialmente all’idea di un referendum, ma viene data notizia che permetterà ad alcuni paesi arabi di fornire armi “leggere” alla “guardia presidenziale” di Abu Mazen, nota come Forza 17.
Cosa sta accadendo, e come dovrebbe regolarsi Israele?
Il documento dei detenuti, elaborato da leader terroristi di Fatah e Hamas in un carcere israeliano, in realtà illustra bene la materia intorno alla quale le fazioni palestinesi si stanno scontrando. Al Punto 1 del documento si legge: “Il popolo palestinese… aspira a liberare le proprie terre e a ottenere la libertà, il diritto al ritorno e l’indipendenza, IVI COMPRESO il diritto di istituire uno stato palestinese indipendente, con Gerusalemme come sua capitale, su tutti i territori occupati nel 1967”. (sottolineatura aggiunta).
Il Punto 9 sviluppa la questione del “diritto al ritorno”, affermando la necessità di “sottolineare” tale “dritto” e di “attenersi” ad esso. Altrove il documento incoraggia esplicitamente la “resistenza” armata contro Israele nei territori, invitando anche a creare un nuovo organismo per coordinarla.
Il testo firmato dai leader detenuti verrà sicuramente usato da molti per sostenere che, dal momento che affermano di perseguire la creazione della loro sovranità statale su tutti i territori occupati nel 1967, con ciò stesso i palestinesi per definizione accettano il diritto di Israele ad esistere all’interno dei suoi confini sovrani pre-’67. Tuttavia, non occorre leggere tra le righe to read the fine print per vedere che il documento non afferma nulla del genere.
Il testo non invoca apertamente l’eliminazione di Israele, ma non riconosce nemmeno lo stato ebraico, molto meno esplicitamente persegue un accomodamento con esso. In realtà, a 32 anni di distanza, il documento è perfettamente compatibile con il piano per l’eliminazione di Israele “per fasi” approvato dall’Olp nel 1974. (La risoluzione strategica del 9 giugno 1974 stabiliva di “creare una autorità nazionale indipendente e combattente su ogni porzione di territorio palestinese liberato… con lo scopo di completare la liberazione di tutto il territorio palestinese e come un passo sulla strada della unità araba totale”).
Non sorprende, dunque, che alcuni detenuti di Hamas abbiano sottoscritto il documento, anche se Hamas ufficialmente lo ha respinto. Come ha detto Ghazi Hamad, portavoce del governo Hamas: “Noi non ci opponiamo alla creazione di uno stato palestinese entro i confini del 1967”. Tale posizione, dopo tutto, non contraddice ciò che il primo ministro palestinese Ismail Haniyeh ha dichiarato venerdì scorso: “Anche se ci assediassero da ogni parte, noi non faremo nessuna concessione, non riconosceremo la legittimità dell’occupazione, non scioglieremo la resistenza e non riconosceremo gli accordi dell’oppressione”.
Quand’anche l’elettorato palestinese ratificasse questo documento con un referendum, Hamas e i suoi pari potrebbero sostenere che il popolo ha confermato il principio di uno stato palestinese come base per continuare la guerra contro Israele, e non per terminarla.
Tale referendum potrebbe presentarsi come un passo verso l’unità fra palestinesi, ma è difficile immaginare che possa far avanzare il processo di pace.
I palestinesi devono scegliere tra l’aspirazione a libertà e indipendenza e l’aspirazione a distruggere Israele. Non possono realizzare entrambe. Il documento di “riconciliazione” (fra palestinesi) proposto dai detenuti cerca invece di tenere aperte tutte le opzioni.
In questo contesto è difficile capire perché Israele dovrebbe facilitare il trasferimento di altre armi a una qualunque fazione sul versante palestinese. Gli accordi di Oslo prevedevano una “polizia palestinese” di 18.000 uomini e Israele accettava che le armi “leggere” per questa forza andassero agli uomini di Yasser Arafat. Successivamente Israele ha tollerato che questa forza salisse a 26.000, poi a 30.000 uomini, sempre nell’ipotesi che tali forze venissero usate per contrastare il terrorismo. Alla fine, le forze dell’Autorità Palestinese si sono ingrandite, senza il coinvolgimento di Israele, fino a 70.000 uomini. Da sola, la “guardia presidenziale” – che, almeno fino a poco tempo fa, ha preso parte ad attacchi terroristici contro Israele – conta già 1.500-2.000 uomini, e Abu Mazen vorrebbe portarla a 10.000. Nessuno può affermare che nell’Autorità Palestinese c’è carenza di armi o di “forze di sicurezza”. E nessuno può seriamente sperare, vista la tragica esperienza del recente passato, che le armi che in un dato momento vengono puntate contro Hamas non vengano poco dopo usate per uccidere israeliani.

(Da: Jerusalem Post, israele.net, 29.05.06)

“Anche se accettiamo di dichiarare il nostro stato su ciò che è oggi il 22% della Palestina, vale a dire su Cisgiordania e striscia di Gaza, il nostro obiettivo ultimo rimane la liberazione di tutta la Palestina storica dal fiume al mare… Noi distinguiamo gli obiettivi strategici a lungo termine dagli obiettivi politici di ogni fase, che siamo costretti ad accettare temporaneamente a causa delle pressioni internazionali”.
Faisal al-Husseini, Al-Arabi, 24.06.01

“Torneremo ai confini del 1967, ma ciò non significa che abbiamo rinunciato a Gerusalemme, a Haifa, a Giaffa, Lod, Ramle, Natanyah e Tel Aviv. Mai… La nostra approvazione al ritrono sui confini del 1967 non equivale a un cedimento degli altri nostri diritti. No… Può darsi che non sarà questa generazione che arriverà a quella fase, ma verranno altre generazioni e la terra di Palestina… esigerà che i palestinesi tornino così come tornò Muhammad (Maometto): da conquistatore”.
Sceicco Ibrahim Mudyris, sermone del venerdì, 4.02.05

“Hamas non sarà assolutamente mai disposta alla coesistenza con Israele quand’anche le truppe israeliane si ritirassero sui confini del 1967. Potrebbe essere una soluzione temporanea, per un massimo di 5 o 10 anni. Ma alla fine la Palestina dovrà tornare a diventare islamica e, nel lungo periodo, Israele scomparirà dalla faccia della terra”.
Mahmoud al-Zahar, oggi ministro degli esteri palestinese, a Yediot Aharonot, 24.06.05

“Hamas è chiara su questo punto: Hamas è convinta che la Palestina storica, cioè tutta la Palestina, appartiene al popolo palestinese… Intendiamo che tutta la Palestina, dal fiume al mare, appartiene ai palestinesi… Noi diciamo la stessa cosa in tutti i consessi. Ma diciamo anche che facciamo i conti realisticamente con la fase attuale: uno stato palestinese indipendente con piena sovranità su Cisgiordania, Gerusalemme e striscia di Gaza. Questo è ciò che abbiamo presentato al nostro popolo nella nostra piattaforma elettorale… Sì, si tratta di una soluzione temporanea per una fase: non è una soluzione definitiva”.
Mousa Mohammed Abu Marzook, esponente di Hamas, su Dream TV, 26.02.06