Un piccolissimo passo verso la ripresa di colloqui israelo-palestinesi

La ripresa dei contatti fra Autorità Palestinese e Israele è importante, ma pone rimedio a uno solo dei sintomi di una malattia che non può guarire finché i palestinesi dicono no a ogni proposta di compromesso

Di Ben-Dror Yemini

Ben-Dror Yemini, autore di questo articolo

I sei mesi durante i quali l’Autorità Palestinese ha interrotto i rapporti con Israele non hanno provocato un enorme disastro nel campo della sicurezza né una forte recrudescenza del terrorismo, ma sono stati comunque un incubo per i responsabili della sicurezza israeliana. Martedì scorso l’Autorità Palestinese ha annunciato la ripresa di quei contatti e ciò segna un puntino luminoso nella miriade di questioni aperte tra Israele e palestinesi.

L’Europa solitamente non fa nulla per contribuire a migliorare la situazione, e semmai la peggiora. L’Unione Europea e la maggior parte dei paesi dell’Europa occidentale appoggiano automaticamente le posizioni palestinesi e trasferiscono sostanziosi aiuti a organizzazioni palestinesi e israeliane che sono per lo più pregiudizialmente ostili a Israele: così facendo, non fanno che gettare benzina sul fuoco. L’Europa avrebbe un ruolo serio e positivo da svolgere nel rilanciare i negoziati fra le parti, ma di solito sceglie di non approfittarne.

Questa volta, tuttavia, è stato diverso giacché l’Unione Europea ha premuto sull’Autorità Palestinese perché rinnovasse i rapporti con Israele, giungendo persino a minacciare di tagliare gli aiuti ai palestinesi nel momento in cui Ramallah lanciava appelli circa la sua imminente catastrofe economica e nel contempo continuava a rifiutarsi (“per protesta”) di incassare le entrate fiscali riscosse da Israele per un ammontare di ben 750 milioni di dollari. Il presidente dell’Autorità Palestinese Abu Mazen aveva deciso di punire il suo popolo per la decisione, perfettamente giustificata, di Israele di detrarre dalle entrate fiscali la somma che l’Autorità Palestinese devolve ogni anno ai vitalizi a terroristi condannati e detenuti in Israele o famiglie di terroristi morti compiendo attentati contro israeliani.

Il presidente dell’Autorità Palestinese Abu Mazen e il presidente turco Recep Tayyip Erdogan

Ma la ripresa dei contatti è solo un piccolo passo. Il conflitto con i palestinesi rimane una ferita aperta per Israele, nonostante i nuovi, storici accordi di normalizzazione con Emirati Arabi Uniti, Bahrein e Sudan. Qui non si tratta più soltanto di una disputa fra palestinesi e Israele. I palestinesi sono riusciti a tirarsi contro anche le nazioni arabe sunnite moderate, appoggiando sempre i loro nemici. Il sostegno di Yasser Arafat all’allora dittatore iracheno Saddam Hussein fu il primo affronto. Ma il mondo arabo cercò di mantenere la calma e di continuare a sostenere i palestinesi. Quando l’allora presidente degli Stati Uniti Bill Clinton presentò i suoi parametri per una soluzione della questione palestinese, ebbe il sostegno della maggior parte delle nazioni arabe ma ancora una volta i palestinesi rifiutarono. Quando l’Iran, insieme alla Turchia del presidente Recep Tayyip Erdogan e ai Fratelli Musulmani, divenne la principale minaccia alla stabilità in Medio Oriente, con chi si schierarono i palestinesi? Con l’asse iraniano-turco-islamista.

La ripresa dei rapporti dell’Autorità Palestinese con Israele pone rimedio a uno soltanto dei sintomi di una malattia che continua ad allignare. Con tutto il dovuto rispetto, è improbabile che il neo eletto presidente degli Stati Uniti Joe Biden e la sua futura amministrazione saranno in grado di presentare una qualunque bozza di compromesso che sia accettabile per i palestinesi. Quando Biden era vicepresidente di Barack Obama, l’allora segretario di stato John Kerry presentò ai palestinesi una proposta che era impossibile rifiutare. C’era anche Susan Rice, oggi una delle principali candidate al ruolo di massimo diplomatico americano, e sia lei che John Kerry sanno che i palestinesi rifiutarono anche quella proposta.

Dal momento che non è alle viste nessuna svolta negoziale, anche piccoli passi come la ripersa dei contatti sono cruciali. Così come Israele non deve pensare di avere carta bianca per fare ciò che vuole in Cisgiordania. Finché non arriva un vero cambiamento, entrambe le parti sono tenute perlomeno a non peggiorare la situazione.

(Da: YnetNews, 21.11.20)