Un pletorico governo a rotazione è tutt’altro che l’ideale, ma è necessario

In questo momento Israele ha assoluto bisogno di un governo che goda di un’ampia legittimazione per adottare le drammatiche misure che si renderanno necessarie per uscire dalla crisi

Di Herb Keinon

Herb Keinon, autore di questo articolo

Dopo quattrocentottanta giorni, tre campagne elettorali estremamente tese e costate milioni, Israele ha finalmente un governo.

Con un numero record, quando sarà a pieno regime, di 36 ministri e 16 vice ministri, di sinistra e di destra, con due primi ministri a rotazione tra cui uno che dividerà il suo tempo tra governo e tribunale e un altro che non ha ancora nessuna esperienza ministeriale, questo governo non è certo l’ideale agli occhi di nessuno. Ma, come cantavano i Rolling Stones, “non puoi avere sempre ciò che vuoi, ma se ci provi a volte trovi e ottieni ciò di cui hai bisogno”. E in questo momento un governo d’emergenza, foss’anche un governo d’emergenza gravemente pletorico, è sicuramente ciò di cui il paese ha bisogno, nel mezzo della crisi da coronavirus e di fronte a una probabile catastrofe economica di proporzioni epiche.

L’ultima cosa al mondo che Israele poteva permettersi in questo momento era quella di slittare verso una quarta tornata di elezioni anticipate, una cosa che sarebbe costata altri miliardi di shekel e che – in un momento in cui occorre la massima solidarietà nazionale – avrebbe occupato la nazione con negatività e assurdità varie, mentre oltre un quarto della forza lavoro è disoccupato e centinaia di migliaia di persone sono in preda a vera e propria angoscia per la loro condizione economica.

Un manifesto elettorale dello scorso febbraio con i volti di Benny Gantz e Benjamin Netanyahu

In questo momento Israele ha assoluto bisogno di un governo che goda di un’ampia legittimazione nell’elettorato per adottare le drammatiche misure fiscali che si renderanno necessarie per emergere dalla crisi con un’economia ancora integra. Israele ha bisogno di un governo che sia in grado di approvare una legge di bilancio. Israele ha bisogno di un governo con l’autorità e la legittimità necessarie per decidere se annettere o meno gli insediamenti in Cisgiordania e Valle del Giordano prima delle elezioni statunitensi di novembre “in pieno accordo con gli Stati Uniti e in dialogo con la comunità internazionale”. Israele ha bisogno di un governo in grado di prendere decisioni sulle cruciali  questioni di difesa e sicurezza (gli attacchi di razzi da Gaza, il trinceramento di forze iraniane in Siria ecc.) senza che ogni azione delle Forze di Difesa sollevi il dubbio che non sia fatta solo perché necessaria ma anche per guadagnare punti sulla scena politica interna.

Israele ha bisogno di un governo normale e funzionante. Il governo di emergenza nazionale concordato lunedì sera darà a Israele, se tutto va come scritto e pianificato, un governo funzionante.

Normale no. Non è normale un accordo per la rotazione fra primo ministro e vice primo ministro. Non è normale un governo di queste dimensioni. Non è normale che siano previste due residenze ufficiali, una per il primo ministro in carica e l’altra per il suo vice. Speriamo che perlomeno sia funzionante. E dato lo stallo politico che blocca la politica dal 26 dicembre 2018, quando si sciolse la Knesset mandando il paese alle urne per tre volte di seguito, in questo momento “funzionante” sarebbe già molto. Meglio un uovo oggi che nessuna gallina domani.

La firma dell’accordo, lunedì sera, fra Benjamin Netanyahu e Benny Gantz

D’altra parte la storia ha dimostrato, con il governo di unità nazionale Yitzhak Shamir-Shimon Peres varato nel 1984, che un governo di rotazione può funzionare, e che in effetti può funzionare abbastanza bene. Quel governo seppe riportare le Forze di Difesa israeliane all’interno della fascia di sicurezza nel Libano meridionale e seppe frenare un’inflazione che era fuori controllo. Ma ci vorrà molta buona volontà da entrambe le parti e da entrambi i soci della colazione. E questa buona volontà non è stata esibita in grande quantità davanti all’opinione pubblica israeliana dal primo ministro Benjamin Netanyahu e dal leader di Blu-Bianco Benny Gantz. Il fatto che a Netanyahu e a Gantz ci sia voluto tanto tempo – anche nella vita del paese sconvolta dal coronavirus – per riuscire a formulare un accordo, mostra un preoccupante livello di sfiducia e mancanza di buona volontà. Speriamo che ora che l’accordo è stato firmato, sia Netanyahu che Gantz possano metter insieme la necessaria buona volontà. Una spinta a farlo potrebbe essere la paura di affrontare di nuovo a breve l’elettorato.

Circa Netanyahu, nonostante i recenti sondaggi gli risultino favorevoli, in questo momento non ha alcun interesse ad essere accusato per l’eventuale rottura di questo governo e un ritorno alle urne. Finora Netanyahu ha ottenuto voti piuttosto buoni da parte del pubblico per la sua gestione della crisi sanitaria, ma c’è una palpabile collera crescente tra i lavoratori autonomi e i proprietari di piccole e medie imprese, molti dei quali in passato hanno votato per lui, che probabilmente si esprimerebbe nella nascita di nuove formazioni in occasione di nuove elezioni. Per Netanyahu è meglio avere altri 18 mesi in carica come primo ministro, specialmente con il processo a suo carico che dovrebbe iniziare a maggio, anziché rischiare tutto con un ritorno alle elezioni in un momento politico estremamente instabile e potenzialmente esplosivo.

Gantz, dal canto suo, ha tutto da guadagnare dal fatto che questo accordo funzioni effettivamente. Se non fosse stato firmato nessun accordo, sarebbe andato incontro alle elezioni dopo aver ritrattato la più importante delle sue promesse elettorali, quella di non sedere in un governo con Netanyahu, e avendo perso nel frattempo metà del suo partito Blu-Bianco. Ribaltando la sua posizione circa un governo con Netanyahu, Gantz ha fatto la cosa giusta per il paese in un momento di emergenza, ma nel farlo si è politicamente danneggiato in modo grave. Nuove elezioni adesso, per lui, sarebbero la rovina politica. Se invece Gantz si farà valere nei fatti come ministro della difesa, e se l’accordo di rotazione verrà attuato ed egli riuscirà a svolgere bene il ruolo di primo ministro per i successivi 18 mesi, allora si troverà ad aver realizzato una traiettoria politica di tutto rispetto. Sono dei grossi “se”, ma in questo momento non ha nulla da perdere.

Dopo tre astiose campagne, la fiducia è ai minimi. Ma entrambi gli uomini – per loro propri interessi politici, e non parliamo degli interessi del paese – hanno buone ragioni per voler far funzionare davvero questo anomalo e mastodontico governo d’emergenza a rotazione.

(Da: Jerusalem Post, 21.4.20)