Un risultato fin troppo prevedibile

Perché i palestinesi non hanno accettato l’accordo offerto da Olmert?

Da un editoriale del Jerusalem Post

image_2438È accaduto qualcosa fuori dall’ordinario, nella riunione del governo israeliano di domenica scorsa: il primo ministro Ehud Olmert ha attribuito il fallimento del suo governo nel fare la pace con i palestinesi… ai palestinesi.
Per anni Olmert ha ossessivamente cercato di inculcare nell’opinione pubblica israeliana il messaggio che la pace richiede dolorose concessioni da parte di Israele. E domenica lo ha sottolineato ancora una volta. “Israele – ha detto – dovrà fare drammatiche e dolorose concessioni senza precedenti, se vuole arrivare alla pace”. Ma questa volta ha anche riconosciuto che la composizione del conflitto richiede concessioni da parte palestinese, concessioni che – ha riferito amaramente – essi non sono disposti a fare.
Olmert si è adoperato per arrivare a un accordo che contemplasse un ritiro israeliano praticamente totale sulle linee armistiziale del 1949. La maggior parte delle comunità ebraiche presenti in Cisgiordania verrebbero sradicate. Solo alcuni blocchi di insediamenti di valore strategico – presumibilmente Ma’aleh Adumim, Gush Etzion e Ariel, tutti vicini alla Linea Verde – verrebbero annessi da Israele in cambio della cessione ai palestinesi di un equivalente quantità di territori israeliani nel sud del paese. Su Gerusalemme Olmert, a quanto pare, avrebbe offerto il trasferimento sotto sovranità palestinesi dei quartieri arabi che cingono Gerusalemme a nord, est e sud. I luoghi santi verrebbero amministrati da un ente internazionale. E un tunnel o un ponte assicurerebbero il collegamento fra striscia di Gaza e Cisgiordania, in modo che la “Palestina” godrebbe di continuità territoriale.
Un paletto fissato da Olmert è stata la richiesta che i palestinesi abbandonassero la pretesa del cosiddetto “diritto al ritorno”, vale a dire che i profughi del 1948 e i loro discendenti avrebbero il diritto di “tornare” nella “Palestina” indipendente e non dentro Israele, cosa che significherebbe l’invasione demografica dello stato ebraico.
Ora, all’approssimarsi della fine della sua gestione Olmert ha pubblicamente dichiarato che l’impossibilità di arrivare a un accordo è stata “innanzitutto il risultato della debolezza dei leader palestinesi, della loro mancanza di volontà e di coraggio… Tutto il resto sono solo pretesti e tentativi di sviare l’attenzione dalla questione principale: eravamo pronti a firmare un accordo di pace; i palestinesi purtroppo non hanno avuto il coraggio di farlo”.
Ci si potrebbe domandare perché ne parli solo ora, e perché abbia malauguratamente indicato che il prossimo governo sarà impegnato a riprendere i negoziati da dove li ha lasciati Tzipi Livni, anziché avvertire i palestinesi che dovranno ricominciare dall’inizio con il nuovo governo.
Ma lasciamo per il momento da parte le singolari reticenze di Olmert e chiediamoci piuttosto: perché i palestinesi non si sono affrettati ad accettare il generoso accordo offerto da Olmert?
Nabil Abu Rudeineh, negoziatore palestinese, ha risposto alle dichiarazioni di Olmert dicendo che la vera ragione per cui i colloqui sono falliti è che Israele non ha accettato tutto ciò che i palestinesi chiedevano: proprio così, chiaro e semplice. Il che potrebbe anche essere vero, ma allora significa che persino i più moderati dei palestinesi non sono disposti ad accettare i più basilari compromessi necessari per fare veri progressi.
Molti israeliani di opinioni moderate avrebbero avuto non pochi problemi ad accettare le concessioni di Olmert. Ma il pensiero che palestinesi relativamente moderati giudichino del tutto insufficienti persino queste concessioni, lascia realmente senza parole coloro che sostengono la soluzione “due popoli-due stati”.
Ci sono in verità altre possibili spiegazioni, oltre a quella suggerita da Abu Rudeineh, per spiegare come mai Mahmoud Abbas (Abu Mazen) abbia respinto l’offerta di pace di Olmert.
– I palestinesi potrebbero non essere interessati a un accordo il cui prezzo fosse lasciar perdere il cosiddetto “diritto al ritorno” e/o permettere a Israele di mantenere confini passabilmente difendibili. Ne deriverebbe che anche i palestinesi moderati puntano ancora a demolire Israele, seppure per gradi.
– Abu Mazen non ha mai nemmeno iniziato a preparare la sua gente all’idea che anche loro debbano fare dolorose concessioni per la pace. Ne deriverebbe che Abu Mazen o non pensa di poter influenzare minimamente l’opinione dei palestinesi, oppure pensa che accettare l’“esistenza” di Israele sia già una concessione più che sufficiente.
– Nessun accordo è possibile finché l’Iran proietta la sua ombra estremista sulla regione, Hamas domina la striscia di Gaza e Hezbollah è predomina in Libano.
– I palestinesi moderati si aspettano che l’amministrazione Obama costringa Israele a fare concessioni che persino Olmert riterrebbe troppo pericolose.
Ma quale che sia la ragione, il risultato – l’intransigenza palestinese – era fin troppo tristemente prevedibile.

(Da: Jerusalem Post, 16.03.09)

Nella foto in alto: Il presidente dell’Autorità Palestinese Mahmoud Abbas (Abu Mazen). Alle sue spalle, la mappa delle rivendicazioni palestinesi: lo stato di Israele è cancellato