Un test sulla faziosità anti-israeliana

Ispirato al test di Sharansky per separare critica legittima da ostilità pregiudiziale, il test-MO indica se un'analisi del processo di pace è pregiudizialmente contro Israele

Di Jeffrey Elikan

Jeffrey Elikan, autore di questo articolo

Natan Sharansky, l’attivista per i diritti umani ex detenuto in Unione Sovietica, oggi presidente dell’Agenzia Ebraica, ha indicato un “test 3-D” per separare la legittima critica alle politiche d’Israele dall’antisemitismo pregiudiziale diretto contro lo stato ebraico. Israele viene demonizzato (ecco la prima D) quando le critiche “superano ogni proporzione ragionevole”. Israele subisce una doppia morale (seconda D) quando viene criticato e condannato mentre non lo sono altri paesi colpevoli di azioni di gran lunga peggiori. Israele viene delegittimato (terza D) quando viene messo in discussione il suo stesso diritto di esistere. Questo test proposto da Sharansky è istruttivo, si concentra sulle giuste questioni ed è mnemonicamente pratico.

Nello spirito del test 3-D, propongo un “test-MO” per valutare analisi e prese di posizione che si propongono di affrontare i problemi legati al processo di pace israelo-palestinese. Applicare questo test-MO è semplice e può rivelare il modus operandi del medio-orientalista di turno, in particolare per quanto riguarda la possibilità che il suo approccio analitico sia macchiato da un iniquo pregiudizio contro Israele.

Gerusalemme divisa dalla linea armistiziale pre-’67. Non menzionare la necessità di modificare la linea armistiziale significa non superare il test di faziosità anti-israeliana

Innanzitutto la M, come modifiche delle linee fra Israele e vicini arabi. L’allora presidente Usa George W. Bush e il primo ministro israeliano Ariel Sharon, in un incontro ad Aqaba nel giugno 2003, concordarono un concetto che venne poi messo nero su bianco nella lettera ufficiale di Bush a Sharon dell’aprile 2004. Nella lettera, Bush dichiarava che “alla luce delle nuove realtà sul terreno, compresi gli importanti centri abitati israeliani già esistenti, non è realistico aspettarsi che l’esito dei negoziati sullo status finale sia un ritorno pieno e completo alle linee armistiziali del 1949″. Il vice consigliere per la sicurezza nazionale Elliott Abrams confermò l’esistenza di successive intese orali sul fatto che Israele avrebbe potuto costruire nelle porzioni di Cisgiordania che comprendono i maggiori insediamenti ebraici destinati a restare israeliani anche dopo un accordo definitivo. Più tardi, però, il Segretario di stato americano Hillary Clinton ripudiò queste intese e la stessa lettera del presidente Bush che aveva giocato un ruolo chiave nell’aprire la strada al completo ritiro israeliano dalla striscia di Gaza nell’estate 2005, sostenendo che non esiste “nessuna intesa orale o informale” in questo senso. E’ ovvio che qualunque persona ragionevole può avere opinioni diverse per quanto riguarda le dimensioni e la portata delle modifiche da apportare alle linee del ’49. Ma non prenderle nemmeno in considerazione, e considerare carta straccia l’impegno in questo senso formalmente assunto verso Israele, significa non superare la M del nostro test-MO sulle posizioni faziosamente anti-israeliane.

In giallo/ocra, lo stato palestinese che esisterebbe già oggi se nel 2008 i palestinesi avessero accettato la proposta di Olmert (clicca per ingrandire). Non menzionare le offerte israeliane e i rifiuti palestinesi significa non superare il test sulla faziosità anti-israeliana

E veniamo alla O, come offerte e ostacoli. Nessuna analisi equa e ragionevole degli ostacoli al processo di pace, e delle responsabilità per lo stallo in cui versa, può onestamente ignorare le ripetute offerte di accordo fatte da Israele all’Autorità Palestinese: con Ehud Barak a Camp David e i parametri di Clinton (2000 e 2001), con Ehud Olmert nel 2008. Offerte che comprendevano la quasi totalità dei territori rivendicati dai palestinesi nella striscia di Gaza e in Cisgiordania più nuove porzioni di territorio a compensare quelle rimaste a Israele. Sorprendentemente in ognuna di quelle occasioni i palestinesi, sia guidati dal presidente dell’Olp Yasser Arafat che dal presidente dell’Autorità Palestinese Mahmoud Abbas (Abu Mazen), rifiutarono l’offerta o, semplicemente, la lasciarono cadere senza nemmeno proporre una contro-offerta. Come è noto, il presidente Bill Clinton incolpò esplicitamente Arafat del fallimento e nelle sue memorie scrisse: “In una delle nostre ultime conversazioni Arafat mi ringraziò per tutti i miei sforzi e mi disse che ero un grand’uomo. Signor presidente – risposi – non sono un grand’uomo. Sono un fallimento, e questo grazie a lei”. Anche qui, chiunque può cercare in tanti modi di spiegare o giustificare i rifiuti palestinesi, magari citando qualche tendenziosa ricostruzione a posteriori. Ma non menzionare nemmeno le offerte israeliane e i rifiuti palestinesi come se non fossero mai esistiti significa non superare la O del nostro test-MO sulle posizioni faziosamente anti-israeliane.

Visto alla luce di questo prisma, il recente discorso del Segretario di stato Usa John Kerry non supera il test MO e rivela il modus operandi della sua amministrazione.

Parlando delle attività edilizie negli insediamenti israeliani negli anni dopo gli accordi di Oslo del 1993-95, Kerry non ha fatto nessuna distinzione tra gli insediamenti a est e a ovest della barriera di sicurezza, tra le attività edilizie nei blocchi di insediamenti destinati a restare israeliani e gli altri, fra le costruzioni nei quartieri ebraici di Gerusalemme e quelle in Cisgiordania. Non ha fatto parola dell’impegno preso da Washington con Sharon rispetto agli insediamenti ebraici maggiori. Anzi, ha affermato che “ogni amministrazione degli Stati Uniti, repubblicana e democratica, si è opposta agli insediamenti [senza distinzioni] in quanto contrari alle prospettive di pace”. Con questa sfacciata bugia, Kerry non ha certo superato la M del test di imparzialità.

Allo stesso modo, Kerry non ha speso una sola parola per ricordare che Israele ha più volte offerto praticamente la totalità della Cisgiordania ai palestinesi e che i palestinesi non hanno accettato quelle offerte di compromesso né hanno presentato controproposte, e non ha cercato di spiegarci il perché di quei rifiuti. Inveire contro le costruzioni negli insediamenti per la maggior parte del discorso, e dare istruzione all’ambasciatore Usa al Consiglio di Sicurezza di lasciar passare una risoluzione che etichetta quelle costruzioni come il principale ostacolo alla pace, non si concilia granché con la pervicace intransigenza palestinese: ma Kerry non ha nemmeno tentato di spiegare come tenere assieme le due cose e dunque non ha superato la O del test di obiettività.

Quando leggerete articoli che tessono le lodi del discorso di Kerry e della risoluzione 2334 del Consiglio di Sicurezza (e gli articoli che commenteranno la conferenza di domenica a Parigi), tenete sottocchio il nostro test-MO. Vi accorgerete che analisti e opinionisti il più delle volte non superano questo elementare test di onestà e conoscenza dei fatti.

(Da: Israel HaYom, 11.1.17)