Una farsa all’Onu

La comunità internazionale non ama i palestinesi: detesta Israele (e si fa i propri gretti interessi).

Commenti dalla stampa israeliana

image_3237Scrive Yigal Walt, su YnetNews: «Molti esperti hanno già fatto notare che l’Autorità Palestinese non dispone di gran parte delle condizioni basilari che uno Stato funzionante dovrebbe avere. Non basta. Recenti sviluppi e rivelazioni, alla vigilia della domanda all’Onu di riconoscimento di indipendenza unilaterale (cioè senza accordo negoziato con Israele) da parte dell’Autorità Palestinese, evidenziano quanto tale dichiarazione sia anche profondamente imbarazzante e moralmente carente.
Sabato scorso il capo di Hamas, Ismail Haniyeh, ha attaccato la manovra dell’Autorità Palestinese alle Nazioni Unite dichiarando senza mezzi termini che “nessuna dirigenza ha il diritto di giocare coi diritti dei palestinesi né di elargire concessioni”. Queste parole sottolineano il fatto che Mahmoud Abbas (Abu Mazen) rappresenta nella migliore delle ipotesi solo metà dei palestinesi, che non ha alcun controllo sulla striscia di Gaza e che continua a fare il presidente senza alcuna autorità legale visto che il suo mandato presidenziale è già scaduto da tempo senza che si siano tenute nuove elezioni. Chi rappresenta esattamente Abu Mazen? E che significato hanno, se ne hanno, le sue manovre visto che l’organizzazione in assoluto più potente all’interno della società palestinese non rispetta né lui né la sua leadership? Nel frattempo il presidente palestinese ha dimostrato ancora una volta di essere del tutto impreparato ad accettare i compromessi necessari per la sovranità e la pace, quando domenica scorsa ha nuovamente rifiutato di riconoscere Israele come stato nazionale del popolo ebraico. Il fatto che non abbia accolto nemmeno questo concetto basilare non lascia molte speranze che la pace possa trionfare.
Questi ultimi sviluppi suscitano anche degli interrogativi sulla disponibilità di gran parte del mondo a sostenere la richiesta di indipendenza unilaterale palestinese. Ma un’illuminante intervista a Yedioth Ahronoth dell’ambasciatore israeliano alle Nazioni Unite, Ron Prosor, getta luce sulle sconcertanti e inappropriate considerazioni che stanno dietro all’imminente voto all’Onu. Nell’intervista, pubblicata lo scorso finesettimana, Prosor rivela che molti rappresentanti alle Nazioni Unite voteranno a favore della richiesta palestinese a causa di questioni politiche interne e del desiderio di assicurarsi un posto in vari organismi Onu. “Questi interessi traspaiono in ogni conversazione – dice Prosor nell’intervista – Alcuni Stati concordano con ogni parola di quello che noi diciamo, ma hanno della gente che deve essere eletta in varie posizioni all’interno dell’Onu. Quando mi incontro coi rappresentanti di molti paesi – continua l’ambasciatore israeliano – vedo chiaramente che concordano con noi rispetto alla questione dei negoziati diretti (fra Israele e palestinesi). Ma poi sorge la preoccupazione per interessi e nomine all’interno dell’Onu. Più ci avviciniamo al giorno della votazione, più cresce la campagna di pressioni da parte araba. Minacciano i paesi dell’Africa e del Sud America: pure e semplici minacce. Molti rappresentanti mi dicono: in altre circostanze voteremmo per voi, ma non possiamo”.
Per quanto tali affermazioni possano essere irritanti ed esasperanti, non bisogna dimenticare che l’eventuale votazione all’Assemblea Generale dell’Onu avrà in ogni caso scarsi effetti pratici. Come ha affermato domenica l’ex presidente americano Bill Clinton, la realtà sul terreno non cambierà dopo la votazione, e in ogni caso entrambe le parti dovranno tornare al tavolo negoziale. Dunque, a che scopo il mondo sta andando avanti con questo ignobile show? Questi fatti dimostrano che la già pessima fama dell’Organizzazione delle Nazioni Unite ha raggiunto il suo punto più basso, e non può più essere presa sul serio. L’organizzazione globale creata con tante speranze dopo la seconda guerra mondiale è diventata una ridicola fiera di gretti interessi politici che ben poco hanno a che fare con la dignità, la moralità e la verità. È ora che il mondo ponga fine a questa farsa e cerchi una diversa soluzione.»
(Da: YnetNews, 20.9.11)

FORZA DEL DIRITTO E DIRITTO DELLA FORZA
Scrive Ben-Dror Yemini, su Ma’ariv: «Invano si cercheranno giustizia e logica. La fortuna dei palestinesi è di avere Israele come controparte. Sono i palestinesi, non i curdi o i tibetani, che ricevono il più ampio riconoscimento internazionale, perché la comunità internazionale più che amare i palestinesi, adora detestare Israele. Questo è lo stile delle forze del progresso. Tibetani e curdi, così come molti altri popoli, non ricevono tutto questo appoggio dalla comunità internazionale, a parte un po’ di sostegno soltanto a parole. L’ex primo ministro israeliano Menachem Begin una volta ebbe a dire che noi siamo qui per la forza del diritto, non col diritto della forza. Oggi la forza appartiene alla nuova superpotenza, la comunità internazionale, che detiene una maggioranza automatica e può approvare qualunque capriccio e qualunque ingiustizia. Parafrasando Begin, i palestinesi si meritano uno stato indipendente prima dei curdi o dei tibetani non per la forza del diritto, ma col diritto della forza.»
(Da: Ma’ariv. 20.9.11)

SE LA RAGION D’ESSERE È CANCELLARE ISRAELE
Scrive Dror Eidar, su Yisrael Hayom: «L’attuale governo israeliano ha già attraversato il Rubicone riguardo alle sue intenzioni: due stati per due popoli (sì, per il popolo ebraico: che altro se no?), dieci mesi di congelamento delle attività edilizie ebraiche in Giudea e Samaria (Cisgiordania) nel 2010, disponibilità a riprendere immediatamente i negoziati. Ma i palestinesi non hanno battuto ciglio. Loro non sono interessati ad alcun negoziato che possa portare alla fine del conflitto e al riconoscimento del diritto del popolo ebraico su una parte della sua patria storica. Dal loro punto di vista, ciò significherebbe negare la loro ragion d’essere collettiva, il cui punto centrale è la cancellazione dello stato degli ebrei e l’espulsione del popolo ebraico da questa regione. Se così non fosse, avrebbero accettato già da tempo gli storici compromessi che sono stati loro proposti: dalla spartizione del 1947 fino all’offerta di Ehud Olmert del 2008.»
(Da: Yisrael Hayom, 20.9.11)

Nelle foto in alto: tutta l’iconografia irredentista arabo-palestinese rappresenta senza mezzi termini le proprie rivendicazioni territoriali estese su tutto il territorio dal fiume Giordano al mar Mediterraneo: Israele è cancellato dalla carta geografica

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